Quegli strani attentati nel cuore dell’Europa

L’Europa continua a essere teatro di attentati. Lupi solitari ben noti all’intelligence vengono lasciati liberi di colpirci in tutta tranquillità

Quegli strani attentati nel cuore dell’Europa

L’Europa continua a essere teatro di attentati, quanto meno insoliti, da parte di “lupi solitari” dal passato ben noto all’intelligence ma, nonostante ciò, liberi di operare in tutta tranquillità.

A fine agosto Ayoub el-Khazzani, jihadista ventiseienne marocchino, era salito su un treno Amsterdam-Parigi e si preparava a compiere un attentato prima di venire neutralizzato da alcuni passeggeri. Khazzani era conosciuto ai servizi di sicurezza, segnalato nel febbraio 2014 alla polizia francese dall’intelligence spagnola e noto anche in Belgio. In Spagna il terrorista era stato arrestato tre volte per traffico di sostanze stupefacenti ed era sotto costante monitoraggio poichè frequentava una moschea radicale ad Algeciras. Nonostante ciò, il sospettato si è potuto tranquillamente muovere per l’Europa, vivendo per brevi periodi in Germania, Austria e Belgio, prima di sparire dalla circolazione. Secondo l’intelligence spagnola, lo scorso 10 maggio Khazzami si sarebbe recato a Istanbul con un volo partito da Berlino e da lì verso la Siria, passando per Antakya, nel sud della Turchia. 1 Il 4 giugno scorso il marocchino rientrava dalla Turchia e veniva segnalato a Tirana, in Albania, dove si sarebbe fermato qualche giorno prima di rientrare in Europa occidentale. È plausibile credere che nessuno fosse al corrente degli spostamenti di Khazzami? E del fatto che si fosse procurato un vero e proprio arsenale per assaltare il treno alla stazione di Bruxelles? Il jihadista era infatti entrato in possesso di un fucile AK-47, una pistola Luger, 270 colpi, un coltello e un martello.

Giovedì 17 settembre lo scenario si è ripetuto, stavolta a Berlino, nel quartiere di Spandau, quando la polizia riceve numerose telefonate per segnalare la presenza di un "pazzo armato di coltello", un uomo alto e magrissimo, capelli scuri, barba, che si aggira nella zona minacciando i passanti. Arriva una pattuglia e l’uomo si scaglia immediatamente contro un’agente donna, pugnalandola alla clavicola. L’altro agente apre il fuoco e lo fredda con diversi colpi. La donna viene operata d’urgenza e si salva, mentre il terrorista viene ucciso. Si chiamava Rafik Mohammed Youssef, aveva 41 anni ed anch’egli era ben noto all’intelligence tedesca.

Ex membro del gruppo estremista sunnita Ansar al-Islam, formato nel 2001 nel nord dell’Iraq e responsabile di aver organizzato decine di attacchi suicidi, tra cui quello all'interno della mensa di una base militare americana a Mosul, il 21 dicembre 2004, che causò la morte di 14 soldati statunitensi.

Ansar al-Islam prediligeva gli attentati contro partiti e istituzioni curde, con attacchi suicidi contro le sedi dell'Unione Patriottica del Kurdistan e contro obiettivi governativi iracheni. Vale la pena inoltre ricordare che il 29 agosto 2014 una cinquantina di comandanti dell’organizzazione avevano giurato fedeltà all’ISIS, mentre altri esponenti si erano detti contrari all’alleanza, restando di fatto alleati di al-Qaeda.

Rafik Youssef, acerrimo nemico di sciiti e crudi, venne arrestato nel 2004 dalla polizia tedesca mentre pianificava un attentato a Berlino, contro l’allora premier iracheno Iyad Allawi e fondatore del partito sciita INA (Iraqi National Accord), in visita ufficiale in Germania. Assieme a Rafik vennero arrestati Ata Abdulaziz Rashid e Mazen Ali Hussein, tutti membri di Ansar al-Islam.

Nel 2008 Rafik Youssef venne condannato a 8 anni di reclusione ma venne scarcerato con la condizionale nel 2013, con obbligo di portare il braccialetto elettronico e il divieto di contattare altri membri di Ansar al-Islam. Il motivo di tale decisione da parte del tribunale? Non è chiaro, ma di certo non per buona condotta.

Il magistrato Rebsam-Bender infatti lo ricorda bene come “personalità complessa, difficile” e come uomo “irascibile e incapace di controllarsi”. Nel 2013 Youssef si era distinto per alcuni comportamenti aggressivi, tra cui delle ingiurie e minacce a degli agenti di polizia e a un magistrato, era un soggetto considerato “socialmente pericoloso, altamente aggressivo” e sotto sorveglianza da parte dei servizi di sicurezza. Insomma, non certo il candidato ideale per una “condizionale”, visti i precedenti e il profilo psicologico.

Un’ulteriore beffa: Rafik giovedì mattina non ha riscontrato alcun problema nel togliersi il braccialetto elettronico, teoricamente non rimovibile, o almeno così dovrebbe essere, per poi riversarsi in strada armato di coltello. Com’è possibile? Ai primi segnali di manomissione del braccialetto elettronico, tra l’altro cosa non di semplice esecuzione, la centrale operativa dovrebbe immediatamente ricevere una segnalazione con conseguente e repentino invio di una pattuglia. Quanto tempo è invece passato dalla rottura dell’apparecchio all’arrivo delle pattuglie?

Rafik Mohammed Youssef godeva poi dello status di “rifugiato politico” e in Iraq era stato condannato a morte. Terrorista e rifugiato politico? Un accostamento che stride, se non altro esaminando il “curriculum vitae” del personaggio in questione.

Se l’Europa iniziasse a concedere tale status a tutti quei terroristi che si dichiarano “perseguitati” e che rischiano la pena di morte nei propri paesi per aver trucidato civili e membri delle istituzioni, il “Vecchio Continente” si popolerebbe di pericolosi jihadisti e forse non siamo neanche così lontani da tale realtà.

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