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Salmond, il visionario col pallino della secessione

In 10 anni è riuscito in un'impresa impossibile. E così ha già vinto

La regina Elisabetta II con il primo ministro scozzese Alex Salmond
La regina Elisabetta II con il primo ministro scozzese Alex Salmond

Ribelle, visionario, populista quanto basta. Il primo ministro scozzese Alex Salmond ha già vinto. Comunque vada il referendum che il 18 settembre deciderà se la Scozia resterà parte del Regno unito o diventerà una nazione indipendente, il leader dello Scottish National Party è il protagonista assoluto di un voto che è già Storia. In dieci anni è riuscito in un'impresa che sembrava impossibile. Ha relegato i Laburisti a secondo partito nella Scozia rossa delle miniere e della classe operaia, dopo un dominio durato cinquant'anni. Ha convinto - o costretto - il premier David Cameron a concedere il referendum sulla secessione dopo aver sbaragliato gli avversari alle elezioni per il rinnovo del Parlamento scozzese nel 2011, quando ha portato a casa la maggioranza assoluta nonostante un sistema elettorale studiato dai padri della devolution per impedire a chiunque di dominare l'Aula. Ora è riuscito in un'impresa ancora più grande: far tremare Westminster, Londra, la City, i mercati internazionali; unire laburisti, conservatori, liberaldemocratici e pure gli outsider dell'Ukip di Nigel Farage nel coro unanime e dai toni disperati per salvare 307 anni di Unione. E in tasca ha già la garanzia che la Scozia, anche se i «no» all'indipendenza dovessere prevalere, avrà maggiori poteri.

Cinquantanove anni, una laurea in Economia e Storia medievale alla St Andrew's, l'università scozzese più antica del mondo anglofono dopo Oxford e Cambridge, Salmond è un economista esperto di energia, cresciuto nell'era Thatcher quando la Lady di ferro era il demonio della working class scozzese. Negli anni Ottanta, per sette anni, la Royal Bank of Scotland gli affida il dossier «petrolio» ed è allora che Salmond, già attivo nel suo partito, si convince che le ragioni economiche per l'indipendenza della Scozia siano più che solide.

Ha «il monopolio dell'ottimismo» scrive di lui il Times quando nel 2011 lo incorona «uomo dell'anno», col beneplacito dell'editore Murdoch che intanto gli invia lettere, lo porta a cena e in un tweet lo definisce «il più brillante politico del Regno Unito». Salmond nel frattempo si è fatto le ossa a Londra, con un seggio a Westminster che ha tenuto per tredici anni, dal 1987 al 2010. E smette di essere la testa calda che a inizio carriera si fa espellere dal partito per aver capeggiato una breve rivolta interna e che nell'87 interrompe la presentazione della Finanziaria alla Camera dei Comuni per protestare contro l'introduzione dell'imposta sulle persone fisiche in Scozia.

L'indipendenza era e resta la sua ossessione. Per questo tutti gli riconoscono grandi doti da leader ma lo reputano un visionario. Vuole una Scozia libera dal Regno Unito. Ed è convinto di farcela sfruttando le riserve di petrolio, specie quelle delle aree non ancora trivellate nel Mare del Nord, e puntando sull'energia dei venti e delle maree per fare della Scozia un centro all'avanguardia nelle energie rinnnovabili. Sbaraglia i laburisti opponendosi ai tagli di Westminster, difendendo la Sanità pubblica e i sussidi e vantando un risultato unico: ha portato il tasso di criminalità al minimo degli ultimi trent'anni. Le sue doti da leader, l'approccio disinvolto davanti alle telecamere, la competenza e le entrature nel mondo dei banchieri e dell'imprenditoria - è amico del milionario statunitense Donald Trump - lo rendono in poco tempo l'incubo degli ex premier scozzesi Tony Blair e Gordon Brown, che speravano di placare le spinte indipendentiste con la devolution concessa dopo il referendum del '97. La sua ossessione, l'indipendenza da Londra, sembrava un miraggio e potrebbe invece diventare realtà.

Comunque vada, ha già vinto.

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