Scambio di ultimatum. La sfida degli studenti al potere di Pechino

Il governatore di Hong Kong: "Sgomberate". E i giovani ne chiedono le dimissioni. Londra convoca l'ambasciatore cinese

Scambio di ultimatum. La sfida degli studenti al potere di Pechino

La tensione a Hong Kong non accenna a calare e il vicepremier britannico ha deciso di convocare l'ambasciatore cinese a Londra per esprimergli il suo «sgomento e allarme» di fronte al rifiuto di garantire elezioni libere nella ex colonia britannica tornata alla sovranità cinese nel 1997. A preoccupare Nick Clegg, in particolare, è «il modo in cui le autorità cinesi a Pechino sembrano determinate a rifiutarsi di dare alla popolazione di Hong Kong quello che hanno perfettamente il diritto di aspettarsi», cioè la minaccia dell'uso della forza contro pacifici manifestanti.

L'ex potenza coloniale sente ancor oggi una responsabilità particolare rispetto a ciò che avviene a Hong Kong. Il premier David Cameron ha ricordato ieri che «all'epoca dell'accordo con la Cina c'erano dettagli di quell'intesa sull'importanza di dare alla popolazione di Hong Kong un futuro democratico». Ma queste affermazioni non sembrano incontrare ascolto a Pechino, e la speranza espressa da Clegg che la convocazione dell'ambasciatore cinese «possa aiutare» nel contesto delle pressioni internazionali esercitate sulla Cina pare illusoria.

Ancora ieri, di fronte alle rinnovate sfide dei manifestanti pro democrazia, il governatpre di Hong Kong ha chiesto che le proteste cessino «immediatamente» e il governo di Pechino ha espresso «pieno sostegno contro le azioni illegali» e ha ripetuto che quanto avviene a Hong Kong è «un fatto interno cinese», facendo ben capire che non si farà influenzare da alcuno anche nel prendere scelte che implicassero l'uso della violenza, il che appare purtroppo sempre più probabile fino a prefigurare scenari paragonabili alla tragedia di Tienanmen del giugno 1989.

Gli studenti infatti non solo non hanno accettato l'«invito» del capo del governo filocinese del territorio di Hong Kong a cessare le manifestazioni, ma rilanciano. Dapprima hanno chiesto che entro oggi il governatore Leung Chun-Ying si dimetta (richiesta ovviamente subito respinta), poi hanno annunciato che alzeranno il tiro. «Occuperemo gli uffici del governo. La protesta aumenterà d'intensità a partire dal 2 ottobre», ha detto Chow Wing Hong, uno dei segretari generali della Federazione degli studenti della regione amministrativa speciale. Oggi in Cina è festa nazionale per il 65° anniversario della presa del potere da parte del Partito comunista, e dunque l'appuntamento è per il giorno dopo - anche perché nei notiziari cinesi le manifestazioni a Hong Kong sono state fatte passare come forme di gioioso sostegno al regime.

«Dobbiamo resistere e vi sono le condizioni per farlo», ha aggiunto un altro leader della protesta, Chan Kin-Man. Ostacolati nelle comunicazioni dal blocco di internet e twitter nelle aree centrali di Hong Kong, i manifestanti si avvalgono di informazioni ottenute con altri mezzi avanzati: nei cieli di Hong Kong e Kowloon ronzano droni sulla cui origine molti si sono interrogati. I loro proprietari e mandanti sono con tutta probabilità privati, soprattutto i grandi media come le agenzie di stampa internazionali Reuters o Associated Press. Diversi video di buona qualità delle manifestazioni sono stati girati grazie ai droni e il primo di questi è stato messo online dal sito web del quotidiano filodemocratico (l'unico di Hong Kong) Apple Daily .

Leung non ha spiegato come intende sbloccare la situazione e negli ultimi giorni ha usato un linguaggio misurato.

Ha però già chiarito che la richiesta di ritirare la nuova contestata legge elettorale non sarà accolta, e che la decisione di Pechino sul sistema con cui si eleggerà il nuovo leader di Hong Kong «deve ritenersi definitiva».

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