Siria, le petro-monarchie del Golfo creano i profughi e poi li scaricano

Libano Iraq, Egitto, Turchia e Giordania accolgono centinaia di migliaia di profughi. Arabia Saudita e Qatar, maggiori responsabili della destabilizzazione della regione, nemmeno uno

Siria, le petro-monarchie del Golfo creano i profughi e poi li scaricano

La crisi dei rifugiati siriani non colpisce soltanto l’Europa che sta attuando con difficoltà il piano di redistribuzione voluto dal presidente della Commissione Jean Claude Juncker. In questi giorni anche i governi dei Paesi mediorientali stanno facendo fronte alle conseguenze della destabilizzazione della Siria. Secondo gli ultimi dati forniti dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr.org) la guerra civile siriana avrebbe portato nella sola Turchia 1,8 milioni di profughi. Ce ne sono poi 1,2 milioni in Libano, 630mila in Giordania, 250mila in Iraq, 133mila in Egitto. Ma c’è anche chi si è tirato fuori: Qatar, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita, Kuwait, Oman e Bahrain.

Un profugo, secondo la Convenzione sui rifugiati delle Nazioni Unite firmata a Ginevra nel 1951, è “una persona che si trova fuori del paese di cui è cittadino o in cui risiede abitualmente e che, per la sua razza, la sua religione, la sua nazionalità, la sua appartenenza a un determinato gruppo sociale o le sue opinioni politiche teme a ragione di poter essere perseguitato e di non poter ricevere protezione di questo Paese dove, per il suddetto timore, non può tornare”. Nessuno tra questi è firmatario, ma è ancor più vero che i Paesi del Golfo hanno giocato la partita siriana fin dall’inizio, in particolare Arabia Saudita e Qatar, entrambi maggiori sponsor finanziario dell’opposizione democratica e dei gruppi armati che dal 2011 combattono il governo legittimo di Bashar Al Assad. Da sempre le petro-monarchie di religione sunnita, dopo aver accettato un patto di non belligeranza con Israele e gli Stati Uniti, hanno come obiettivo quello di rompere l’alleanza patrocinata dalla Russia tra la Siria alawita e l’Iran sciita (dura dal 1979) per tornare dominanti nel Medio Oriente, ma soprattutto all’interno della comunità islamica mondiale. Eppure il loro sogno egemonico sembra rimanere una questione meramente opportunistica vista l’assenza di solidarietà verso i siriani che di fatto sono in maggioranza di credo sunnita. Come del resto sono severissime le leggi in materia di immigrazione per chiunque voglia recarsi nei Paesi del Golfo o desidera avere la cittadinanza. Altro che universalismo islamico. Gli unici migranti tollerati sono gli indigenti, ovvero lavoratori, spesso clandestini, che arrivano da Pakistan, Sri Lanka e dai Paesi africani per la costruzione di grattacieli e per le pulizie negli alberghi o nelle case degli autoctoni.

Ogni Stato è sovrano e deve avere la libertà di adottare le politiche che meglio rispettano gli interessi della propria popolazione, stupiscono però le timide condanne dei paladini dei diritti umani (l’agenzia dell’Onu per i rifugiati, Amnesty International e Human Rights Watch) che si sono limitati con un tweet dei loro rispettivi portavoce.

Troppo poca fermezza verso Paesi che hanno evidenti responsabilità nella destabilizzazione della Siria e di tutta la regione mediorientale. Probabilmente perché a differenza dell’Iran, Arabia Saudita e Qatar rientrano nella sfera d’influenza occidentale. Ecco perché la retorica diritto-umanista può passare in secondo piano.

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