Chi credeva che la politica non si facesse più sulla scacchiera dai tempi dell'«incontro del secolo» tra il russo Boris Spassky e l'americano Bobby Fischer nel 1972, in piena Guerra fredda, si dovrà ricredere. Alfieri, cavalli, re e regine sono ancora in grado di determinare alleanze, fare pressioni, guadagnare o perdere potere. Per la Russia, che dal 1995 guida la Fide, la Federazione internazionale degli scacchi, rappresenta un modo per esercitare il soft power, per creare il consenso attraverso la persuasione e la diffusione della propria cultura e valori. Colui che finora ha mosso le pedine, Kirsan Ilyumzhinov, è appena uscito di scena (per mano degli Usa). Ieri in Georgia si sono tenute nuove elezioni per nominare il suo successore. Corruzione, fake news, la «manina» di Mosca sempre presente: il voto - che ha incoronato, ça va sans dire, un altro russo - è la prova che gli scacchi sono ancora lo specchio, in versione contemporanea, degli intrighi internazionali.
Ilyumzhinov, classe 1962, cresciuto in piena perestroika, ha finora dominato la scena. In 23 anni a capo della Fide, accanto all'obiettivo ufficiale di promuovere il gioco, ha in realtà ricoperto il ruolo di ambasciatore ufficioso di Mosca nel mondo, un «diplomatico della gente» come si descriveva lui stesso. In questa veste ha incontrato i principali leader internazionali, con viaggi dall'Iraq (due giorni prima dell'invasione Usa nel 2003), alla Libia (dove ha fatto una partita con Muammar Gheddafi), fino alla Siria di Bashar al-Assad, poco dopo lo scoppio della guerra civile. Personaggio chiaroscuro anche in patria: è stato per 17 anni presidente della piccola e povera Repubblica di Kalmykia, nella Russia meridionale, dove è accusato di corruzione, violazione dei diritti umani e repressione dell'opposizione, oltre a essere stato coinvolto nell'omicidio di una giornalista. Il mondo degli scacchi, in tutto ciò, ha sempre taciuto. D'altronde Ilyumzhinov, appena eletto, aveva salvato la Federazione dalla bancarotta versando sull'unghia 2 milioni di dollari per coprire i debiti. Il primo vero affondo, per lui, arriva 3 anni fa, quando gli Usa decidono di sanzionarlo per aver «assistito materialmente il regime siriano». Ostacolo che, tra l'altro, gli impedisce di presenziare ai Mondiali di scacchi del 2016 a New York. Ma niente, l'uomo più potente del gioco non ha mollato le pedine neanche questa volta: si era persino ricandidato per le elezioni svolte ieri, ritirandosi solo dopo che si scoprì che l'«americano» con cui correva in ticket era in realtà un russo dal curriculum gonfiato. Ma per capire di quanta protezione Ilyumzhinov godesse - e goda tuttora -, basti pensare che Putin era pronto a sostenerlo anche questa volta: «Meriti questa posizione», lo aveva appoggiato pubblicamente a luglio dell'anno scorso.
Ora che la sua era, dopo due decenni, ufficialmente è terminata, in molti credono che proseguirà nel successore eletto ieri dai delegati della Fide, Arkady Dvorkovich. Anche gli altri due candidati non passavano inosservati: Georgios Makropoulos, greco, era il vice di Ilyumzhinov, e si trovava nella strana posizione di correre «per il rinnovamento» dopo aver lavorato fianco a fianco con il controverso boss; Nigel Short, britannico, noto per aver sentenziato che «gli scacchi non sono adatti alle donne», ha passato gli ultimi mesi a spianare la strada al vincente Dvorkovich, difendendolo nelle sue uscite più scomode (vedi caso Skripal), e ritirandosi infatti pochi minuti prima del voto.
Dvorkovich, ex primo ministro russo e organizzatore dei Mondiali di calcio in Russia, è il nuovo dominus della scacchiera internazionale. Il Cremlino è stato accusato di manovre per farlo eleggere, comprese pressioni sul premier israeliano Benjamin Netanyahu: in cambio Putin gli avrebbe offerto di portare i prossimi Mondiali di scacchi a Tel Aviv.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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