In montagna è facile perdersi

In montagna è facile perdersi
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Secondo E.M. Forster la frase «Uno straniero giunge in città» può riassumere la metà delle trame di romanzo; nell'altra metà, «Un uomo vive un'avventura». A dire il vero, però, la protagonista del romanzo d'esordio di Marta Aidala, La strangera (Guanda), dalla sua città, che è Torino, scappa, abbandonando nel cassetto le bozze della tesi di laurea e lasciandosi dietro, come una scia inevitabile, la costernazione della madre.

Il punto di fuga di Beatrice (questo all'anagrafe il nome della ragazza, «strangera» cioè in dialetto valdostano, «straniera» solo per i locali) è un rifugio del Club Alpino Italiano di fronte alla Becca in Val d'Aosta, gestito dal Barba, soprannome che cela un'ironia, visto che l'uomo è non solo glabro, ma perfettamente calvo. Efficiente, burbero fino alla villania e laconico fino all'indecifrabilità, è il Barba ad assumere Beatrice e ad insegnarle come sorvegliare la complicata macchina di un rifugio che l'estate ospita ogni giorno decine di appassionati della montagna fra alpinisti, semplici turisti e anche, da qualche anno, emeriti idioti che si recano sul ghiacciaio in infradito, per la gioia delle guardie forestali che poi, a malincuore, devono anche salvarli dall'assideramento. Territorio di confine, la montagna: fra la modernità e il passato tradizionale, gli agi della civiltà e la ferocia di una natura che uccide senza scrupoli chi ne ignora i moniti: con il freddo, le valanghe, i lupi e la forza di gravità che ogni anno condanna una decina di alpinisti. Il regno del Barba, da questo punto di vista, è ancora più emblematico perché si contrappone ai mandriani della valle, che hanno esigenze diverse. Con uno di loro, Elbio, Beatrice azzarderà una relazione sentimentale dei cui sviluppi è bene tacere, perché costituisce uno degli aspetti centrali e caratterizzanti l'intera vicenda.

Il romanzo di Aidala procede con il ritmo lento e sicuro di un'escursione fra le vette. La pagina, senza darlo troppo a vedere e senza indulgere in massimalismi ideologici o di altro tipo, genera il salutare disagio provocato dai romanzi radicali e poco disposti a compiacere il lettore. Tutti i personaggi sembrano sotto scacco o in un vicolo cieco e sono manifestamente irrisolti. Lo stesso istinto di fuga della protagonista è, direbbe Lévi-Strauss, il lato positivo di una regola negativa (forse la fobia di determinarsi?) e quanto alle passioni, spiccano quelle tiepide o fredde.

Alla fine, il quadro appare dominato dalla vecchia, cara, incomunicabile Angst degli esistenzialisti, l'angoscia che opprimeva un altro celebre straniero letterario dal quale Beatrice dista meno di quanto si potrebbe sospettare.

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