
Giotto, è il primo pittore moderno. Non è un pittore del Trecento. Certo, ha dipinto tra gli ultimi anni del Duecento e nel Trecento, ma è un pittore contemporaneo, nel senso che è il primo pittore ad aver raccontato i sentimenti dell'uomo, incastonati dentro una narrazione. Ed è il primo pittore ad averci raccontato la montagna, ad averla investita di una funzione in un racconto umano. La prima montagna della pittura moderna è ad Assisi, nel ciclo di affreschi che Giotto dedica a Francesco, intorno al 1295. Essa si erge verso il cielo, in un solo slancio con il Santo che, in ginocchio, si volge a Dio con tutto il proprio corpo proteso, con le mani giunte e perfino con gli occhi.
È la quattordicesima delle ventotto scene del ciclo di affreschi delle Storie di san Francesco della Basilica superiore di Assisi, e trascrive in immagini, letteralmente, la Legenda Maior di San Francesco.
"Salendo il beato Francesco sopra un monte in groppa all'asino di un povero uomo a causa di un'infermità, e invocando il detto uomo, che si sentiva morir di sete, un poco d'acqua, ne cavò da una pietra: la quale né prima v'era stata, né poi fu vista".
Un pellegrino, dunque, si è trovato solo in montagna, in una montagna desertificata, vinto da un'arsura insanabile. Occorre che dalla roccia esca l'acqua perché il viandante sopravviva.
Giotto dipinge l'ansia di chi sente il desiderio dell'acqua, e lo fa raccontando l'appagamento del bisogno, in una sintesi mirabile del prima e del dopo. Nello spazio di una scena, Giotto racconta una intera storia, in cui il divino traluce dentro ciò che è estremamente umano.
Ecco in cosa è moderno Giotto, nel far sentire l'emozione, il sentimento, in questo caso una necessità fisiologica.
Il viandante, vista l'acqua sgorgare improvvisamente e inaspettatamente dalla roccia, si getta a terra con impeto. È un gesto istintivo, quello dell'uomo, evidenziato dal mirabile dettaglio del piede che si piega sotto il peso del corpo. Un particolare di realismo commovente, che mai si era visto prima, nella tradizione bizantina, e che ha una funzione narrativa e naturalistica: esso ci dice qualcosa di essenziale alla storia, fa risaltare l'eccezionalità del miracolo e la misericordia di Francesco. Quel piede è l'urgenza di chi, assetato, non pensa neppure d'inginocchiarsi e raccogliere nelle mani l'acqua per portarla alla bocca, ma si getta a terra per bagnare subito le labbra bruciate dalla sete.
Giorgio Vasari, nelle sue Le vite de' più eccellenti pittori, scultori, e architettori, come sempre è impeccabile nella descrizione: " Si vede in quell'opera gran varietà non solamente nei gesti et attitudini di ciascuna figura, ma nella composizione ancora di tutte le storie, senzaché fa bellissimo vedere la diversità degl'abiti di que' tempi e certe imitazioni et oservazioni delle cose della natura. E fra l'altre è bellissima una storia dove uno asetato, nel quale si vede vivo il desiderio dell'acque, bee stando chinato in terra a una fonte con grandissimo e veramente maraviglioso affetto, intantoché par quasi una persona viva che bea".
Il paesaggio montano è brullo. Anche questo aspetto concorre a far risaltare la sete del viandante e l'efficacia della richiesta di Francesco a Dio.
Francesco, a mani giunte, s'innalza a Dio. Ma Dio non c'è ("Deus nemo vidit umquam", Dio nessuno lo ha visto mai). Dio non c'è, dunque. Ma c'è la montagna. E c'è la tensione di Francesco.
Francesco, nella sua postura, sembra quasi pregare la montagna, perché è da lei che deve sgorgare l'impossibile. La montagna stessa, che sovrasta Francesco, sembra agevolare la richiesta a Dio, sospingendola più in alto ancora, oltre le possibilità di Francesco, verso il cielo notturno, appena schiarito dai rari alberi che, nella loro sintesi pittorica, sembrano già pittura astratta. La montagna avvicina Francesco a Dio, abbassa il cielo, o innalza l'uomo. La natura partecipa della vicenda umana, intervenendo nella narrazione.
In questo episodio della vita di un Santo, del primo Santo, accade dunque qualcosa di molto umano: non solo sentiamo il sentimento dell'uomo rispetto alla natura, rappresentato nella forma di un rapporto arcano, misterioso, solenne, con la montagna. Ma sentiamo anche il sentimento dell'uomo rispetto al proprio corpo, ai bisogni del proprio corpo: la sete e il piacere dell'acqua fresca.
Ritroviamo la montagna alcuni anni dopo, nel 1305, negli affreschi della Cappella degli Scrovegni, a Padova, nella scena della Fuga in Egitto.
Maria è centrale e dominante, come sarà nella Madonna di Ognissanti di alcuni anni dopo, nel 1310. Ma la sua presenza scenica viene conquistata non con un taglio secco, con la esclusione di elementi (salvo, forse, soltanto una parte del corteo della Vergine), bensì con la scultorea disposizione di Maria stessa, e con il figlio che si stringe a lei. Le aureole non cancellano l'umanità della scena. Il volto di Maria è teso e irrigidito dalla gravità della situazione, il naso spiovente come il taglio della roccia. L'incedere dell'asino è accorto, precario. Il passaggio è stretto. Il Bambino può cadere, e allora si àncora alla madre. Ma per non rischiare, la madre lo assicura con una fascia, affinché il dorso dell'asino non lo sbalzi in fuori. Giotto dà forma a una piramide visiva, in cui l'asino, Maria e Gesù, isolati dagli altri personaggi, vengono incorniciati dalla montagna. Giotto è un attento architetto delle forme e dei volumi: nell'episodio dell'incontro e del bacio tra Gioacchino e Anna, sempre nella Cappella degli Scrovegni, la composizione faceva perno sulla coincidenza spaziale delle figure con lo spigolo della torre.
Qui l'architettura è una montagna, semplificata ma potente, come nell'affresco di Assisi. E come nell'affresco di Assisi essa eleva e stacca dal resto della scena il gruppo principale: non le aureole, non l'angelo rendono divini i personaggi, ma il loro rapporto esclusivo con la montagna che incombe, li sovrasta, li costringe alla prova.
Ancora una volta, quindi, la composizione detta una struttura fortissima, come strappata dalla pietra. La montagna è, di nuovo, forma e contenuto del dipinto: è un elemento narrativo, determina la prova cui Dio sottopone la famiglia di Nazareth, ed è un volume che incornicia, delimita, solleva.
Agli altri personaggi non rimane che incedere e guardare quel puro abbraccio materno, quella protezione che Maria offre alla paura del suo unico figlio, prima che sia troppo tardi.Ecco, questo è il Giotto maturo, il Giotto sintetico, che racconta storie in un linguaggio che apre ufficialmente alla pittura moderna.