Montanari lombardi un po’ geometrici

M ontanaro sarà lei. Ovvero, a proposito di tesori lombardi che a sorpresa hanno eletto la nostra regione come la più ricca in Italia per aree sotto tutela dall’Unesco, ecco un’altra «scoperta». Forse non per tutti, ma certamente per coloro abituati a immaginare il nostro arco alpino come un territorio di rifugi e baite in stile Heidi o Mulino Bianco. E invece l’occhio fotografico del boemo Vàclav Sedy, specialista in scatti d’architettura, ha posto un elegante accento sul fil rouge che nel Novecento ha fatto del versante delle alpi centrali lombarde un territorio nient’affatto vernacolare ma piuttosto di sperimentazione delle avanguardie internazionali. Dall’Alto Lario alla Valtellina, dalla Valchiavenna alla Bregaglia alla Val Poschiavo, tra queste montagne certo più austere e meno glamour delle perle dolomitiche: proprio qui si son dati metaforico appuntamento alcuni tra i maggiori architetti della metà del secolo scorso, come Giovanni Muzio, Gio Ponti, Ugo Martinola, Luigi Caccia Dominioni, Marco Bacigalupo. E, in barba ai localismi e al cosiddetto «stile alpino», hanno realizzato edifici pubblici e privati che difficilmente sarebbero stati possibili nelle grandi città. Un excursus politically uncorrect ben documentato da una mostra fotografica che si tiene quest’estate negli spazi della Galleria del Credito Valtellinese di Sondrio. La serie di scatti di medio formato in bianco e nero e a colori ripercorre la grande avventura che ha offerto un contributo non insignificante al dibattito sull’architettura internazionale. Un’avventura che, con linguaggi e forme eterogenei, contamina l’urbanistica e il paesaggio con il razionalismo fascista di edifici pubblici come il Palazzo del governo di Sondrio o il villaggio sanatoriale di Sondalo (entrambi firmati da Muzio), o con il fantasioso stile eclettico delle centrali idroelettriche proliferate su tutto il territorio alpino all’inizio degli anni ’50. Allora fu, manco a dirlo, un archistar come Gio Ponti a realizzare i progetti più impattanti. Erano gli anni in cui il progettista meneghino era impegnato nella realizzazione del Pirellone ma anche quelli, come ricorda Leo Guerra, in cui nell’arco alpino le aziende elettriche tra cui la Falk portarono a compimento un complesso di opere ingegneristiche come dighe, chiuse, dissabbiatori, fabbricati per le turbine, centraline a torre eccetera. Gio Ponti, inutile a dirsi, calcò la sua firma trasformando l’immagine delle strutture vernacolari (e un po’ cimiteriali) di inizio secolo cariche di bugnati e merlature, in edifici bianchi quasi atratti, sagomati e riflettenti «come solidi di quarzo o spicchi di amonite». La sperimentazione «antialpina» si sbizzarrì anche nell’edilizia privata a partire dagli anni ’60, quelli del boom che trasformò (e in molti caso stravolse) molti villaggi montani in aree «ski». L’eclettismo geometrico fu applicato al proliferare delle seconde case dei milanesi e ai villini della nascente borghesia. Tra queste merita un cenno la villa di Tirano a forma di... televisore firmata Piercarlo Stefanelli. Era il periodo in cui in Valtellina si era già imposto lo «stile Caccia», ovvero la cifra stilistica un po’ fredda e aristocratica del milanese Luigi Caccia Dominioni che trova il culmine nella pianta centrifuga della Biblioteca civica situata sulle sponde del fiume Bitto. Caccia Dominioni, Marco Bacigalupo e Ico Parisi furono gli artefici di quelle forme neorealiste che contraddistinguono gli edifici creati per «ricucire» molti centri storici come quello di Morbegno.

Proprio dalla mente fervida di Parisi germinò l’idea per la nuova sede della Camera di commercio di Sondrio, immaginata come la prora di una nave incagliata nei giardini di Palazzo Sertoli. Una nave piovuta in montagna, e perchè no?

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