Fuori. Quando larbitro inglese Howard Webb fischia tre volte, gli onorevoli lasciano sudati, sfatti e a testa bassa il mezzo cerchio di Montecitorio. Ci sono quasi tutti. Ne mancano solo duecento e di questi tempi è un record. Escono peones e ministri, novellini e vecchi dinosauri. Cè il leghista con la cravatta verde che stranamente non esulta. Ci sono Paola Concia e Mara Carfagna che parlano fitto fitto. Cè Di Pietro senza cravatta. Cè Bocchino che sorride. Cè perfino Sgarbi che non è più parlamentare ma è venuto a vedere le occhiaie dei forzati. Dicono che hanno passato lì dentro la notte e il giorno. Non è proprio così. Ma una mezza maratona cè stata, quasi un Isner vs Mahut sullerba di Wimbledon. Una cosa è certa: mentre lItalia piegava le gambe davanti alla Slovacchia, loro, i deputati, subivano lostruzionismo dei dipietristi sul futuro della lirica.
Qui, tra queste mura, tutto si lega: la politica, il calcio e il melodramma. E quello che resta è la vittoria della farsa, come se ognuno giocasse una partita finta, recitando a caso, a soggetto, in un teatro immateriale, dove uno ad uno cadono i sogni di questo paese incancrenito. Gli onorevoli chiusi lì dentro, con la smania di chi sogna un 50 pollici Hd, divano, sigaro o sigarette, birra e rutto libero. E invece devono stare dietro ai deliri di Tonino da Montenero che da due giorni fa ostruzionismo. Di Pietro questo giorno se lo è costruito. Voleva che i lavori andassero avanti mangiandosi la partita. Lidea era questa: se gli onorevoli disertano faccio una piazzata sul fancazzismo della casta. Chiaro no? Brunetta toglie la tv agli statali, gli operai di Termini Imerese mettono in scena lo sciopero mundial e i politici che fanno? Stanno al gioco. Tutti in aula a far finta di lavorare. Tutto inutile, tutto finto, tutta demagogia. Gli ostruzionisti parlano, parlano, parlano, emendamento dopo emendamento, ogni tanto si vota e il segnale che annuncia che la seduta è aperta rimbalza assordante dal Transatlantico alla buvette, come la più stupida delle vuvuzela.
Sono le quattro di un pomeriggio sbagliato. In sala stampa i giornalisti silluminano di megaschermo. Gli oratori in aula parlano tanto pe parla. È cominciata e butta male. De Rossi arranca, Pepe latita, Montolivo vaga e gli onorevoli smanettano sui computer e captano la diretta da un sito iracheno. Al venticinquesimo Rosy Bindi, presidente di turno, che ha dato il cambio al notturno Lupi, immagina Vittek sbriciolare ciò che resta della difesa azzurra. Picchietta il microfono e annuncia: «Hanno segnato gli slovacchi». Informazione inutile. Sono già tutti stravaccati sugli scranni e il volto dice: «Non ci posso credere».
Fine del primo tempo. Di Pietro si siede su un divano rosso bordeaux: «Almeno stiamo attirando lattenzione sul nostro ostruzionismo». Si ricomincia. Cicchitto e Bocchino si ritrovano spalla a spalla a guardare lo stesso monitor. Non si parlavano da mesi. Il secondo gancio di Vittek fa sorda e grigia laula. Ma stiamo perdendo davvero? Pare. Aida è morta e la marcia trionfale si spegne sotto le trombette africane. Bondi guarda fisso davanti a sé e sembra chiedersi cosa cazzecchi questa commedia con il suo decreto sulle fondazioni liriche. Ma a qualcuno interessa sul serio?
Gli ultimi venti minuti sono in apnea. I pendolari guardano lorologio. È tardi. Gol di Di Natale. Si spera. Quagliarella segna. Vai, vai, vai. Annullato. Dolore. Ma non cera. Fuorigioco è quando guardialinee alza bandierina. E sono tre. Slovacchia maledetta. È finita. Lultimo gol di Quagliarella non consola. Ugo Sposetti dice che «non si torna mai dopo una vittoria». Lippi lo ha fatto e ha perso tutto. Calderoli ci va giù pesante: «Semplicemente ridicoli». Serve lautarchia. Troppi stranieri. Qualcuno chiede: la colpa è di Moratti? Se vince lui, perde la Nazionale. E buvette sport e viva il parroco. Prodi non cè. Larbitro Webb fischia la fine.
Questa è lItalia. La politica in farsetto. La lirica in bolletta. Il calcio in fuorigioco. È il 24 giugno 2010. Onorevoli, tenori e calciatori non è giornata. Tutti a casa.
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