di Giancristiano Desiderio
I l Covid-19 si è abbattuto con la forza di un uragano sulla scuola e l'ha travolta. La frase migliore per capire il cataclisma è del presidente Conte che esprime l'inanità del governo: «La scuola riaprirà già a settembre». Kaputt! Ma siamo sicuri che sia tutta colpa del virus cinese? Il morbo ha dato il colpo finale a una scuola moribonda. Puntuale è arrivato il cigno nero. I mali scolastici che il virus ha evidenziato sono tre così riassunti: il centralismo ministeriale, la didattica burocratica, l'impiego statale.
La scuola italiana è napoleonica. Bonaparte diceva: «Chi ha Parigi comanda la Francia». Così è per l'istruzione: gli orologi delle scuole sono sincronizzati per legge sull'orologio del Ministero. Poco conta che il sistema è regionalizzato perché il centralismo non è questione geografica ma culturale. Salvatore Valitutti, il maggior conoscitore della scuola italiana, diceva che la scuola di Stato è un sistema copernicano in cui tutto ruota intorno al sole ministeriale e il ministro in questo caso la Azzolina governa la scuola con le circolari. I difetti di questo sistema sono evidentissimi: funziona se la scuola è di modeste dimensioni ma diventa irrazionale se la scuola è fatta di milioni e milioni di individui. Il virus colpendo il cuore il Ministero ha ucciso una scuola che potrebbe essere viva se fosse realmente autonoma.
La scuola classica è finita a febbraio e la scuola smart è nata a marzo con la didattica a distanza. Tutto bello, veloce, tecnologico. Peccato che la scuola sia incontro, presenza, fantasia, favola e se non è favola non può essere logica. Quindi la cosiddetta DAD può andar bene, forse, per gli ultimi anni delle superiori, per il resto è un escamotage. Se, poi, la didattica a distanza la si vorrà usare anche dopo l'emergenza, il suo uso dovrà essere libero dalla burocrazia - crediti, valutazioni, programmazioni - con la quale confligge. Ciò che conterà sarà una sola cosa: la inimitabile e non standardizzabile facoltà didattica dell'insegnante.
Eccoci al terzo punto. Chi sono i docenti? Impiegati ministeriali distaccati in uffici periferici.
La crisi virale mette in luce che l'insegnante non può essere più l'impiegato del posto fisso ma un libero professionista capace di educare attraverso la cultura. Una rivoluzione? Di più: fine della scuola di Napoleone e di quel sistema pan-statale che con il valore legale del titolo di studio tiene in vita un'esperienza esaurita da un pezzo.
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