Cultura e Spettacoli

A Moretti il cinema piace solo quando lo fa lui

Al suo Festival elimina gli italiani e apre con Bush: "Non abbiamo trovato adeguata nessuna pellicola dei nostri registi". Le pellicole sono dedicate alla famiglia, ai giovani e anche al dolore del lutto

A Moretti il cinema piace 
solo quando lo fa lui

 

Il girotondo contro il cinema italiano l’ha fatto, come al solito, salendo in cattedra. Impietoso, inappellabile, un tantino saccente (anche qui, come al solito). Dopo i leader della sinistra in Piazza Navona, la bocciatura di Nanni Moretti si è abbattuta su tutta la produzione cinematografica nostrana. Presentando il Torino Film Festival di cui è direttore artistico, il regista del Caimano ha steso una lapide sulla nouvelle vague italiana: «Abbiamo visto molti lungometraggi, ma non ci è sembrato di trovare quello adatto né al concorso né al fuori concorso», ha sentenziato. Non male per un Festival che si svolge in Italia, proprio nella stagione che per tutti gli osservatori nazionali e internazionali è quella del rinascimento. Invece no, tabula rasa. In tutti i film girati in questi mesi dai nostri autori non ce n’è uno degno del Festival - se non nelle sezioni minori - sul quale Nanni appone la sua prestigiosa e austerissima firma. Forse perché non ce n’è uno di suo, sibila qualcuno. Ma è una malignità molto maligna.

Acclamato al Festival di Cannes dove con Gomorra e Il divo i nostri autori hanno raccolto due premi - e chissà quando, e se, era mai accaduto - bissati in altri festival in giro per il mondo; confermato dalla Mostra di Venezia dove i film italiani in gara erano addirittura quattro (con relative accuse di rassegna autarchica, e dovrà pur esserci una via di mezzo) e dal premio a Silvio Orlando, migliore attore in Il papà di Giovanna di Pupi Avati; riconosciuto da fior di riviste e dalla critica internazionale: niente da fare, per Moretti sbagliano tutti, il rinascimento italiano è un miraggio. In compenso, fuori e dentro il concorso patrocinato dal Nanni nazionale ma non nazionalista, ci sono due film coreani, uno messicano e due cinesi, che saranno tutti bellissimi e ce ne faremo una ragione. Però.

Però, la pillola è amara da deglutire. La vita di questi tempi è trista già di suo: crollano le borse, Vladimir Luxuria si arrabatta sull’Isola dei Famosi, aumentano i mutui e il Milan è in Coppa Uefa... Ci mancava anche l’altero Signornò a frantumarci davanti al naso uno degli ultimi motivi di orgoglio nazionale... Ingenui noi, forse: a ben guardare il suo profilo grifagno e soprattutto i precedenti da girotondino-cattedratico, dovevamo aspettarcelo.

Come certi professori di liceo e rettori universitari pronti a difendere la cattedra cavalcando l’onda studentesca, dalla politica al cinema, da Berlusconi ai leader della sinistra, anche il regista della Stanza del figlio (il suo film meno militante e, guarda caso, il più premiato) ha sempre amato dar lezioni dispensando bocciature con l’indice alzato. D’Alema? Si beccò la prima bocciatura già nel ’96, quando in Aprile lo pungolò a dire «qualcosa di sinistra». Passarono pochi anni e nel febbraio 2002 la scomunica di Nanni si abbatté su Rutelli e Fassino: «Con questi dirigenti non vinceremo mai» (non che si sbagliasse del tutto). Ieri, nella sede della Sacher, i giornalisti hanno tentato di strappargli un commento sulla battuta di Berlusconi a proposito di Barack Obama e sulla elezione del nuovo presidente americano. Magari avrebbe potuto iscriversi al coro di esaltazione e promuovere il nuovo messia. Guai! Nanni si è ritratto, sdegnoso. In compenso ha buttato lì uno slogan per il suo festival: «Sarà serio e allegro. Non si sa quanto rappresentativo di questo Paese».

Tiè, bocciati tutti.

 

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