Per la morte di Baget Bozzo s'indaga per omicidio colposo

La cugina del sacerdote denuncia il medico che negli ultimi giorni lo curò senza prescrivere farmaci. E che poi risultò erede universale

Per la morte di Baget Bozzo  s'indaga per omicidio colposo

Genova E se Gianni Baget Bozzo non si fosse spento nel sonno la notte dell’8 maggio 2009 nella sua casa di via Corsica a Genova, ma fosse stato ucciso? Ad aprire un nuovo clamoroso scenario sulla morte del sacerdote politologo e collaboratore storico del «Giornale» è il Secolo XIX. Racconta ieri il quotidiano ligure che c’è una denuncia per omicidio colposo a carico del medico curante di don Gianni, Patrizio Odetti, primario di geriatria al San Martino, e contestato erede universale del testamento del religioso, che qualche giorno prima del decesso, avrebbe prescritto a Bozzo soltanto del Gatorade, e non una medicina vera e propria, per curare un malessere da indigestione, salvo poi scrivere nel certificato di morte «infarto miocardico».

A rivolgersi ai magistrati - il pm Luca Scorza Azzarà si occuperà dell’inchiesta - è stata la cugina del sacerdote, Albertina Montano, esclusa dalle ultime volontà ufficiali di Baget Bozzo. Malgrado i due fossero cresciuti insieme e lei restasse il suo affetto più vicino, la casa dell’uno a pochi isolati di distanza dall’altra, nell’elegante quartiere di Carignano.

Non solo, riporta sempre il Secolo che ci sarebbe anche un secondo testamento olografo, sparito poi nel nulla, redatto tre mesi prima della morte e mostrato agli amici più intimi, nel quale i parenti risulterebbero gli eredi universali.
Insomma, un «giallo» con una decina di persone coinvolte e che ruota tutto attorno ai soldi, una vera e propria fortuna da milioni di euro se si contano i sette fra alloggi e negozi nel centro del capoluogo ligure, gli investimenti di una vita, i risparmi, i diritti d’autore sui libri. Ma a parte che alla nipote Francesca, nel primo testamento, il sacerdote non aveva lasciato nulla ai parenti, né alla chiesa genovese, né alla rivista Ragion Politica.
Toccherà ora ai magistrati appurare la fondatezza delle accuse mosse a Odetti che non solo avrebbe sbagliato la diagnosi per don Gianni, ma avrebbe anche fatto sparire le medicine accanto al letto del sacerdote subito dopo la sua morte. Inoltre, pur avendo detto di non sapere di essere citato nel testamento come erede universale, si era presentato dal notaio. Ma al di là del riscontro giudiziario, una cosa è certa: tutto gravita intorno all’eredità milionaria di Bozzo.

Lui che anche negli ultimi tempi aveva conservato lo spirito di sempre, la passione politica e quella sacerdotale, «il fuoco» delle sue giornate, tutto avrebbe voluto tranne che si litigasse per una questione del genere. «Fa un po’ tristezza - dice Alessandro Gianmoena - che il lascito di don Gianni si concluda con una lite così grave sull’eredità.

Mi dispiace e mi amareggia vedere che il suo buoncuore venga disatteso con questa diatriba sui fondi ereditari». Gianmoena è stato l’assistente di Bozzo dal 2000 al 2009 e nel testamento non è mai stati citato. Ma ha vissuto accanto a lui, fino alla fine. Anche gli ultimi giorni, poco prima di morire. «Ero andato a trovarlo, soffriva anche di ansie. Aveva avuto un’indigestione. Ma non sono un medico, non posso valutare».

Invece la sua persona, la sua caratura morale e intellettuale, quella sì, la ricorda perfettamente. Le giornate passate a scrivere, a studiare seduto in poltrona sulla terrazza all’ottavo piano di via Corsica. Da una parte la vista del mare e dall’altra i libri e i giornali. «Era capace di chiamarti la mattina alle 7 o la sera alle undici, non aveva orari, né tempi, né modi - continua Gianmoena -. Ho passato fine settimana e anche qualche Capodanno a scrivere del suo amore per la politica, la polis, il popolo. La sua dote più grande, oltre all’intelligenza e all’umiltà, era quella di sapere ascoltare e parlare con tutti, senza discriminazioni di ordine gerarchico. Metteva sempre i fatti in una cornice d’insieme per leggere meglio la realtà».

E questo più che un lavoro, era diventata una missione, la motivazione delle sue opere.
Quando si parla di Bozzo, si parla anche di Silvio Berlusconi, di cui il sacerdote condivise appieno il progetto politico, il bipolarismo e l’alternativa alla sinistra. «Non cambiò mai idea su questo, mai - giura Gianmoena -. Dal 1996 in poi sposò completamente l’azione politica di Berlusconi. Partecipò alla scuole di formazione insieme ai fondatori di Forza Italia».

Ma allora la storia di una rottura tra don Gianni e il Cavaliere, al quale rimproverava una caduta nei comportamenti, e il giudizio negativo sulla Carfagna? «È falso. Ho verificato la sua dedizione fino agli ultimi giorni, lo vedevo dagli articoli che scriveva sul Giornale, condivideva sia l’attività del governo, sia i membri dell’esecutivo. Della Carfagna non ha mai parlato male.

Sostenere il contrario vorrebbe dire infangare la sua memoria». Di un uomo che si è sempre speso per le sue battaglie, con passione e con l’istinto. «Era la sua guida, ciò che ti fa lanciare il cuore oltre l’ostacolo, ripeteva sempre». Questo era don Gianni.

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