Moschea data alle fiamme: Netanyahu furioso

Cresce la tensione in Israele fra le autorità e la minoranza araba in seguito all’incendio doloso di una moschea in Galilea condotto, a quanto pare, da estremisti di destra o da coloni ultrà. Nel tentativo di contenere le prime manifestazioni di collera, il premier, Benyamin Netanyahu, ha subito espresso una severa condanna, mentre il capo dello stato, Shimon Peres, si è recato di persona nella moschea profanata per esprimere «vergogna e sdegno». Ma mentre Israele guarda al suo interno, proprio un ospite giunto dagli Stati Uniti, il segretario alla difesa, Leon Panetta, ha sollecitato lo Stato ebraico a rendersi conto che è sempre più isolato al suo esterno: non solo di fronte ai palestinesi, ma anche a Egitto e Turchia. La superiorità militare non basta: occorre accompagnarla con iniziative diplomatiche «coraggiose». In seguito, a Ramallah, Panetta ha anche spronato i palestinesi a riprendere le trattative di pace con Israele. L’episodio, che ha esacerbato i sentimenti della popolazione araba in Galilea, è avvenuto all’alba nel villaggio beduino di Tuba Zangaria, a nord del Lago di Tiberiade, dove la locale moschea è stata gravemente danneggiata da un incendio doloso. Le scritte lasciate sui muri dagli attentatori ricordavano il linguaggio dei coloni ultrà attivi nella Cisgiordania.

Immediatamente Netanyahu ha chiesto allo Shin Bet (il servizio di sicurezza interno) di dare la massima priorità alla ricerca dei responsabili che, con una serie crescente di provocazioni, rischiano di destabilizzare la situazione nei Territori, proprio mentre il governo israeliano si sforza di assecondare i progetti del Quartetto per il rilancio di negoziati di pace.

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