Cronaca locale

Moschee a Milano, i centri islamici ora litigano tra loro

Palazzo Marino vuole realizzare (o meglio regolarizzare) i luoghi di culto islamici, ma il problema sono gli interlocutori

Moschee a Milano, i centri islamici ora litigano tra loro

La linea di Palazzo Marino sulle moschee ora è chiara, il problema sono gli interlocutori e (dunque) la fattibilità. E questo limite torna a riemergere a ogni piccolo passo avanti del Comune, impegnato a trovare una sistemazione per i musulmani. Ora è la Coreis, la Comunità religiosa islamica di via Meda, ad avanzare distinguo, denunciando il fatto che il Caim, il Coordinamento delle associazioni islamiche milanesi, sia stato considerato indebitamente «l’unica sigla sotto il cui cappello aderissero tutte le comunità islamiche milanesi».

Facciamo un passo indietro, l’intenzione di Palazzo Marino è questa: procedere alla realizzazione - ma sarebbe meglio dire alla regolarizzazione - di una decina di luoghi di preghiera destinati ai centri islamici. Questo indirizzo è stata confermato di recente, ma già ad agosto era stata illustrato nella sede più ufficiale possibile: il ramadan della Casa della cultura islamica di via Padova. Allora il vicesindaco, Maria Grazia Guida, si era presentata nel campetto sportivo di via Cambini (un impianto parrocchiale dato in prestito ai «vicini di casa» musulmani, con cui i rapporti sono ottimi da tempo) e aveva archiviato il progetto di una grande moschea: «Rischierebbe di mettere a repentaglio questo bel mosaico di pluralità», aveva sentenziato, deludendo coloro - come il direttore dell’Istituto islamico di viale Jenner, Abdel Shaari - parlavano di un «Duomo musulmano» da affiancare a tante, più piccole, «parrocchie». Il progetto di un grande centro islamico, inserito a maggio nel programma elettorale della sinistra, era stato così lasciato cadere, con grande nonchalance. I giornali locali veneti poche settimane dopo hanno scritto che il sindaco, Giuliano Pisapia, in trasferta a Padova, aveva parlato di dodici moschee. Ora si torna a parlare del piano per una decina di centri - più o meno uno per Zona. Ma il problema è: con chi parla Palazzo Marino? Chi rappresentano i suoi interlocutori?

Abd al-Sabur Turrini, direttore generale del Coreis, la comunità dei musulmani italiani, ha sollevato la questione con un’intervista a «Tempi». Ha precisato che «non è vero che il Comune sta dialogando solo con loro, come dimostra la nostra presenza a tutti gli incontri», ma ha ribadito anche che «l’islam racchiude fedeli che appartengono a paesi ed etnie di tutto il mondo, come ad esempio il nostro caso di musulmani italiani» e ha escluso che il Caim rappresenti tutti. «Le organizzazioni milanesi islamiche - ha detto - non hanno certo votato Davide Piccardo per rappresentarle, né tanto meno l’hanno nominato come loro portavoce a Palazzo Marino. L’islam è plurale, non ha una struttura unica e gerarchica come la Chiesa cattolica». Piccardo è stato candidato alle ultime elezioni comunali, con Sinistra, ecologia e libertà, il partito del sindaco, e ora è coordinatore del Caim, ma la questione non è politica. «Il Caim - ha detto Turrini a Tempi - è una realtà uscita dal nulla a Milano. Nessuno ne ha mai sentito parlare prima degli incontri a Palazzo Marino. Non abbiamo gradito il qui pro quo mediatico per cui sembrava che il Caim fosse l’unica sigla sotto il cui cappello aderissero tutte le comunità islamiche milanesi, quando a Milano ci sono comunità “storiche” come ad esempio la Coreis italiana che ha una sua ben precisa identità. Non abbiamo certo bisogno di essere rappresentati da loro. Anche altre comunità religiose islamiche, come via Padova 144 o Segrate, oppure l’Associazione turca Alba o la confraternita Jerrati Halvehi, non hanno aderito al Caim». E in effetti anche via Padova aveva contestato lo schema adottato del Comune: «Non si può mettere tutti sullo stesso piano - aveva detto Mahmoud Asfa, direttore della Casa di via Padova - deve sapere chi lavora seriamente e chi no, chi ha 5mila fedeli a pregare, chi svolge attività come noi e chi non lo fa». Asfa aveva ammonito: «Spuntano associazioni come funghi». Piccardo aveva risposto senza polemizzare: Garantisco che la associazioni che fanno parte del coordinamento hanno una loro attività seria, provata e documentata, a Milano e in Italia. I Giovani musulmani sono forse l’organizzazione più importante oggi, in Italia, e hanno 20 sedi.

In ogni caso il lavoro con il Comune serve anche, o proprio, a verificare tutto questo».

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