Cronache visive da un mondo scomparso. Il tema della nuova mostra che inaugura domani nello spazio del gallerista Jean Blanchaert è dedicato alle memorie di un grande fotografo degli anni Trenta, Roman Vishniac, che testimoniò la vita delle comunità ebraiche nei ghetti dell'europa orientale, prima della distruzione operata dalla ferocia nazista. La vita quotidiana dei bambini, degli studenti, delle donne di casa, degli uomini con famiglia, degli anziani, in vari momenti della giornata e in vari periodi dell'anno: inverno e altre stagioni; nei ghetti delle città, nelle terre di campagna. Vishniac, con la cifra documentarista di un Cartier Bresson, scattò in quellepoca oltre 16mila fotografie di cui, malgrado lorrore dellolocausto, riuscì a salvare circa duemila negativi. Un altro artista anchesso ebreo, il disegnatore newyorkese Fred Charap, ha tempo fa raccolto linvito di Blanchaert a ripercorrere con la propria cifra artistica quel mondo scomparso così appassionatamente descritto dallobbiettivo Vischniac. Ne è scaturita una personale di disegni che raccontano un quartiere popolato quasi interamente da ebrei-russi, uno shtetl americano, un mondo impregnato di tutti gli aspetti della vita ebraica, dalla religiosità più strettamente osservata, alla tradizione più laica, in cui tuttavia gli individui partecipano attivamente alla conservazione e alla trasmissione di una cultura lontana, ferma nel tempo e nello spazio.
Le opere di Fred Charap descrivono la sua storia, delineano attraverso il contrasto di bianchi e neri, la strada percorsa e un modo di vivere: l'ambivalenza e la ritualità, la gioia e la sofferenza e, in ultimo, la disperazione terribile della fine.
Attraverso la complessa architettura che nasce dal rapporto tra elementi spaziali ed elementi simbolici (come la nota icona del violinista Yiddish o le lettere magiche dell'alfabeto ebraico), Fred Charap recupera e ridisegna le tracce di quel mondo perduto.
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