La musica in negozio è troppo alta Finisce all’Asl la guerra dei decibel

Qualcuno salvi i commessi di Abercrombie. Non dalle orde di ragazzine che fanno la fila ogni giorno dietro alle transenne di via Matteotti 11 per una foto con i modelli a torso nudo all’ingresso della boutique che ha aperto lo scorso 29 ottobre. «Rischiano di diventare sordi». La preoccupazione della signora Francesca Bosi, mamma di un ragazzino di 12 anni, si è tradotta in un esposto all’Asl per le «condizioni di lavoro pericolose» in cui «sono costretti i giovanissimi commessi». La causa: «Un volume di musica così alto che è necessario urlare per farsi sentire dai clienti, e i clienti a loro volta sono costretti a sbraitare per chiedere le cose». Nella lettera che ha inviato nei giorni scorsi a Giancarlo Cattaneo, responsabile del Servizio prevenzione e sicurezza negli ambienti di lavoro della Asl di Milano, la signora invita «a provvedere con urgenza per evitare danni permanenti uditivi e neurologici ai lavoratori» perché «a mio parere i limiti in quel negozio sono superati in modo intollerabile, mentre la legislazione sulla sicurezza del lavoro stabilisce chiaramente le regole per non danneggiare l’udito» per di più «mi risulta che i giovanissimi commessi abbiano chiesto alla direzione di abbassare la musica ottenendo un netto rifiuto».
La boutique milanese è l’unica aperta in Italia, anche qui Abercrombie ha ricreato l’atmosfera da discoteca che ha successo a New York e Londra, con giovani modelli e modelle che ballando al ritmo della musica aiutano i clienti (soprattutto giovani) a trovare tra gli scaffali i capi di abbigliamento più trendy. La signora Francesca ci è stata venerdì scorso, per comprare un paio di jeans al figlio di dodicenne. «Ci siamo guardati tutti e due con gli occhi fuori dalle orbite - racconta -, ho chiesto urlando informazioni a un commesso ma non riuscivano neanche a sentirci. Gli ho domandato come faceva a lavorare in quelle condizioni e mi ha riferito che nonostante le richieste la direzione si rifiuta di abbassare il volume. Ho pensato che poteva essere mio figlio». E dunque: arrivata a casa ha contattato l’Ispettorato del lavoro, «ma non c’era più nessuno, ci ho riprovato il lunedì per scoprire che l’ente che ha potere di intervenire è solo l’Asl. E ho inviato subito un esposto. Ci sono delle leggi severe, non lasciamo rovinare dei ragazzi di 19-20 anni solo perché la moda “tira“ e a nessuno interessa intervenire». Almeno per ora invece, nessuno si batte per la maglietta della salute obbligatoria ai commessi che accolgono le clienti con indosso solo un paio di jeans, ma non è mai detto.
E nella battaglia per i decibel che vede continuamente schierati su fronti opposti i comitati (contro) e il Comune (in difesa) - dai concerti di San Siro alle zone della movida - qualche giorno fa si è introdotto anche il governatore Roberto Formigoni anticipando che in caso di vittoria del centrodestra al Pirellone ha in mente di rivedere la normativa sul rumore, mettendo a punto una legge regionale ad hoc.

«Attraverso strumenti normativi - ha anticipato - vogliamo conciliare la quiete dei cittadini con la possibilità che Milano e la Lombardia continuino ad essere sedi di eventi internazionali della musica e dello spettacolo che sono sempre state».

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