A ventisette anni, Tredici Pietro arriva a Sanremo 2026 con un bagaglio artistico già definito e una storia personale spesso ingombrante. Pietro Morandi, questo il suo nome all’anagrafe, è il terzo figlio di Gianni Morandi, ma da tempo rivendica un percorso autonomo, costruito senza scorciatoie, lontano dai riflettori ereditati. Nel suo ultimo lavoro, Non guardare giù, racconta proprio questa ricerca di indipendenza, un’identità musicale che sfugge ai cliché e che gli ha permesso di farsi conoscere come uno degli artisti più originali della scena italiana.
“Il Morandi rap che fugge dai luoghi comuni”
Tredici Pietro non ha mai amato essere incasellato. Di sé dice: "Sono la mosca bianca del rap", una definizione che riassume bene il suo modo di muoversi tra generi diversi, rifiutando etichette troppo strette. Nel disco uscito il 4 aprile, alterna tre brani rap a pezzi che esplorano sonorità acustiche, rock, drum’n’bass e soul. Un percorso eclettico, figlio di ascolti vari e della volontà di non ripetersi. "Il rap non è soltanto un tipo di musica, è una tecnica", racconta, ricordando come negli ultimi tempi abbia divorato i Talking Heads prodotti da Brian Eno.
Un artista, dunque, che ricerca e sperimenta, lontano dall'immagine del “figlio di”. Un ruolo che, ammette, non sempre è stato facile da portare: "Lui ed io apparteniamo a due mondi diversi e quindi è difficile comunicare. Ci sono momenti in cui questo rapporto non mi fa stare bene perché ho sempre cercato di impormi per quello che sono. Non è un discorso da ingrato ma volevo uscire con la mia voce". Un desiderio che ha trasformato in realtà con costanza e determinazione.
La sfida di Sanremo
La partecipazione al Festival non è un fulmine a ciel sereno. "Sanremo? Ci ho provato e lo rifarò", aveva dichiarato nei mesi scorsi, lasciando intendere quanto tenesse a presentarsi all’Ariston con la sua musica, senza scorciatoie e senza capitalizzare il cognome che porta. E infatti ci torna, da artista pienamente formato, forte di un progetto che mette al centro sincerità, rabbia, e una visione precisa del mondo.
Il titolo del disco precedente, Non guardare giù, è una dichiarazione di intenti. "Da una parte è un invito a smetterla di essere chinati, magari anche solo a guardare il cellulare", spiega. "Dall’altra è la constatazione che spesso siamo indifferenti a ciò che ci accade intorno: ce ne freghiamo della m… che vediamo". Una lettura amara, ma anche un invito a rialzare la testa, a prendere posizione.
Tra Bologna e Milano, tra musica e identità
Bolognese nell’accento e nel carattere, trapiantato a Milano senza aver trovato grandi soddisfazioni, Tredici Pietro parla con franchezza e gesticola con quelle mani enormi, "però sono più piccole di quelle di mio padre", scherza, come farebbe chiunque abbia costruito tutto da sé.
La sua storia artistica è fatta di gavetta e di scelte controcorrente, proprio quelle che lo hanno portato a un Sanremo non ereditato, ma conquistato.
Il resto lo farà la musica, quella che gli ha permesso di prendere le distanze dal cognome Morandi pur portandolo sempre con sé. Perché Tredici Pietro è questo: un artista che non rinnega le proprie origini, ma che pretende di essere ascoltato per la sua voce, non per quella degli altri.