Nanda Vigo, il design fra luce e vita

Una rassegna dedicata alle performance e alle produzioni d’arredo dell’architetto. Le lampade degli anni ’70

Nanda Vigo, personaggio atipico nel mondo della storia dell’arte contemporanea ha trovato la sua collocazione all’interno della Collezione Permanente del Design Italiano alla Triennale di Milano. La rassegna dal titolo «Nanda Vigo. Light is life» a cura di Dominique Stella rimarrà aperta fino al 28 maggio tracciando così nuovi percorsi di lettura nella storia del design italiano.
L’artista definisce la luce «struttura portante della filosofia del progetto» elaborata attraverso oggetti che la restituiscono in maniera magica diventando essa stessa la centralità del progetto».
Nanda Vigo si esprime attraverso l’uso di specchi e di vetri elaborati e la luce rifratta e la trasparenza delle immagini si trasformano in un carattere prettamente suggestivo. Va ricordato che la ricerca di questo straordinario personaggio che ha influenzato generazioni di artisti e di designer a partire dagli anni Sessanta ha sempre privilegiato la sperimentazione: la grande curiosità hanno portato l’artista a spaziare dalla performance alle installazioni fino agli happening, sviluppando un personale linguaggio artistico che procede in parallelo alla pratica di architetto, una disciplina che l’ha portata naturalmente a confrontarsi con il design.
Osservando la «Casa del fascio» di Terragni a Como, la Vigo ha compreso l’importanza della luce nel modellare i volumi e nel modellare i volumi modificandone la percezione e il valore.
L’applicazione rigorosa della luce nelle sue opere fa delle sue installazioni oggetti originali, sperimentali, spot, ma soprattutto realizzazioni che partono dai neon, dall’artista preferiti, alla lampadina perché emanano una luce diffusa, impalpabile che offre una serie di sperimentazioni. Negli anni Settanta la Vigo ha disegnato lampade di produzione (molte in collaborazione con Arredoluce) che si caratterizzano per la loro verticalità come nel caso della lampadina «Osiris» nel 1971 in lamina di vetro e la luce alogena, utilizzata per la prima volta nella produzione industriale.
Tra gli altri esempi anche la lampada «Iceberg», del 1971 prodotta da Arredoluce, in metallo e lastra di vetro smerigliato e serigrafato e la lampada «Cronotopo» in metallo bianco e luce lineare (Arredoluce 1970), tutte ispirate al lavoro dell’artista sui «cronotipi» divenuti oggetti di design integrati alla produzione industriale.
Tra le più celebri produzioni la «Golden Gate», un archetipo degli anni Pop del 1970. Su uno stelo di metallo di circa due metri di altezza, si sviluppa un arco di neon a incastro in una struttura leggera dello stesso metallo. L’originalità di questa lampada consiste nell’utilizzo di un Led rosso nel cilindro di base. I Led allora erano utilizzati unicamente dalla Nasa e sono stati appositamente acquistati dagli Stati Uniti per creare queste lampade. Le Lampade della Vigo in ogni caso travalicano la loro funzione pura di oggetto per diventare fonti d’energia dalla potenza scultorea: segnali di luce che si caricano di vibrazioni e di emozioni.

Il loro disegno e la loro forma nascono dai rigorosi principi geometrici acquisiti durante gli studi all’Institute Politecnique di Losanna dove la milanese Nanda Vigo si è laureata. La sua vita ora si divide tra Milano e l’East Africa. L’ingresso della mostra è libero e la Triennale è chiusa il lunedì.

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