Napolitano fa da pompiere: «Partire da riforme più concrete»

SPINTA «Prima di rivedere radicalmente la forma di governo, meglio affrettarsi su fisco, lavoro e giustizia»

nostro inviato a Verona

Cominciamo dal federalismo. Oppure dal fisco, dalla giustizia, dalla ricerca. O magari dall’applicazione del Titolo V, dalla bozza Violante, dalla riduzione del numero dei parlamentari, dal Senato delle Regioni. Insomma, dice Giorgio Napolitano, cominciamo dove di pare, ma cominciamo da cose fattibili, da interventi «concreti e praticabili in campo economico e sociale e anche istituzionale» che peraltro, vista la crisi «non sono più procrastinabili se vogliamo aprire all’Italia una prospettiva di crescita».
Si fa presto a dire riforme. Presidenzialismo, semipresidenzialismo, premierato, cancellierato, doppio turno, Tatarellum, Mattarellum, Porcellum, modelli americani, francesi, tedeschi, israeliani. Tutto va bene, spiega il capo dello Stato, tutto è «legittimo». Però le riforme non sono una «formula magica e nemmeno una bandiera da agitare». E quindi, prima di «riaprire capitoli complessi e difficili come quelli di una radicale revisione della forma di governo», dobbiamo pensarci bene. Dobbiamo cioè «tenere conto dell’esperienza, dei tentativi falliti, delle incertezze e della discontinuità della discussione» degli ultimi 15 anni. Dalla Bicamerale dalemiana alla legge approvata dal centrodestra e poi cancellata dal referendum, fino ai tanti lodi e patti della crostata: finora più fumo che arrosto.
L’altra sera Napolitano aveva chiesto di «cogliere l’occasione» che si è aperta per migliorare il Paese, aveva invitato tutti a «non sprecare questa legislatura». Aveva anche detto, facendo il pieno di applausi tra i veneti, che «non c’è nessuna contrapposizione tra federalismo e unità nazionale». Adesso, nella sua seconda giornata veronese, il presidente incontra gli industriali e insiste sullo stesso tasto: «Non ci sono contrasti tra autonomia e Stato unitario, ce lo dice l’articolo 5 della Costituzione». Via libera dunque anche al federalismo fiscale e alle altre riforme da fare. Purché, avverte, non sia soltanto propaganda: «È auspicabile che si esca al più presto dalle anticipazioni e approssimazioni di questi giorni che non si sa a quali sbocchi concreti, a quali proposte impegnative, a quali confronti costruttivi possano condurre».
Dunque, se davvero si vuole cambiare l’Italia, questo è il momento, questa è l’ora di rimboccarsi le maniche e prendere il toro per le corna, partendo dalle «cose che si pongono all’ordine del giorno». Cioè, «la riforma del fisco, del sistema di sicurezza sociale, di investimento nella formazione». E sulla giustizia, materia che sta a cuore al premier, «bisogna assicurare la certezza del diritto, la tempestività e l’imparzialità delle indagini e dei giudizi».
Poi, certo, c’è possibilità anche per dei ritocchi istituzionali, «che non è un tema astratto e non è vero che non interessa i cittadini». Però basta con i tatticismi. Il confronto ovviamente «offre molti spazi per la dialettica e pure per lo scontro». Però, «io direi che adesso c’è bisogno di misura, di senso delle proporzioni: i giudizi estremi, che sembra siano considerati gli unici validi e che rendono in termini elettorali, fanno anche dei danni».
Ora per fortuna la campagna elettorale è finita e si può, si potrebbe, ragionare sulle cose concrete. Ci sono tre anni di tempo. «Occorre un comune senso di responsabilità nazionale per il bene del Paese. Ci sono le condizioni per una crescita più sostenuta rispetto al decennio passato, andando a incidere sui due problemi che condizionano l’economia italiana, vale a dire l’occupazione e il debito pubblico». Iniziamo quindi con quello che c’è sul terreno. «Ci sono punti importanti di riforme già da tempo condivisi, sarebbe realistico e saggio non mettere a rischio e non tenere in sospeso delle convergenze, ma mirare a tradurle, in tempi ragionevoli, in dei corposi risultati».
Il capo dello Stato allude alla bozza Violante, approvata da centrodestra e centrosinistra in un ramo del Parlamento durante la scorsa legislatura e finita in un binario morto. E parla del Titolo V, un’altra riforma monca: «Bisogna decidere come coronare l’evoluzione in chiave autonomistica e federalistica dello Stato italiano con la riforma di quel bicameralismo perfetto che ha già da un pezzo fatto il suo tempo».
Nel pomeriggio Napolitano fa tappa al Vinitaly, dove il governatore del Veneto Luca Zaia gli offre prosecco e mozzarella, un azzeccato misto di nord e sud.

Il capo dello Stato ne approfitta per parlare del prossimo 150° anniversario dell’Unità d’Italia, «un evento che va celebrato ma in modo non retorico e non acritico». Quanto al vino, «crea ricchezza, è il simbolo della nostra storia e uno degli emblemi della nostra cultura». Prosit.

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