RomaLasciare Kabul? Ritirare le truppe? No, non se ne parla nemmeno. Soprattutto adesso, con il sangue dei nostri ancora per le strade, soprattutto da soli, senza un accordo con gli alleati. A dare la linea e a spegnere dubbi e polemiche ci pensano, quasi contemporaneamente, il presidente della Repubblica e il premier. Da Tokio, dovè in visita ufficiale, Giorgio Napolitano dice che lItalia «è determinata a mantenere limpegno preso con la comunità internazionale» per «la stabilizzazione, la pacificazione e la lotta al terrorismo in Afghanistan». E da Palazzo Chigi, durante il Consiglio dei ministri, Silvio Berlusconi spiega che «non abbiamo mai pensato a un ritiro unilaterale o ad exit strategy, semmai lavoriamo a una transition strategy che aumenti le possibilità del governo Karzai di garantire la sicurezza e il controllo». La strada, aggiunge, è ancora lunga perché «quel Paese è ancora molto lontano dallessere civile e moderno e noi siamo impegnati a difendere la democrazia».
Dunque, nessun rientro affrettato, niente «ripensamenti». La nostra spedizione, conferma il capo dello Stato, «deve continuare con lequilibrio stabilito tra intervento militare, civile e di ricostruzione», che è più o meno quello che diceva il ministro degli Esteri Franco Frattini poche ore dopo lagguato ai parà. E cioè, che «tutti dovrebbero seguire il metodo Italia, abbinare la sicurezza agli aiuti ai civili». Su questo punto, precisa Napolitano, cè sempre stato un accordo molto ampio: gli aspetti della spedizione non sono solo militari e «non cè nulla da rivedere sullorientamento che abbiamo adottato». Altra cosa è «rivedere lequilibrio»: per il capo dello Stato sarebbe «comprensibile una discussione su come reimpostare, rimotivare questa missione che è delle Nazioni Unite e non una guerra solo degli Usa, come talvolta grossolanamente si dice». E proprio in America, aggiunge, «si cominciano ad avanzare ipotesi e a fare ragionamenti più ampi» sul come proseguire la missione in Afghanistan.
Ma in Italia cè chi vuole il rientro immediato dei soldati, cè pure qualche divisione nella maggioranza. Il presidente non commenta, preferisce restare su quello che è ufficiale. «Io non ho alcun titolo per prevedere, auspicare, considerare necessaria una discussione parlamentare. Posso soltanto dire che la nostra missione in Afghanistan è un impegno ampiamente condiviso, confermato e pienamente coerente delle istituzioni italiane. Non ci sono intenzioni di annullamento e di ripensamento. Ne abbiamo discusso anche lultima volta che si è riunito il Consiglio superiore di difesa. In quelloccasione è stato riconfermato pienamente e in modo determinato il nostro impegno in Afghanistan e ho potuto constatare laccordo tra i membri del governo che ne fanno parte, a cominciare dal ministro della Difesa. Il contributo italiano è concepito in modo molto equilibrato».
Questi gli atti, il resto sono polemiche nelle quali Napolitano non vuole entrare: «Io non vedo divisioni nei due maggiori partiti». Per il Pd, spiega, oltre ai voti parlamentari fanno testo le parole di Piero Fassino, responsabile esteri. E la Lega? Il capo dello Stato non risponde: «Quando parteciperà a una conferenza stampa con il presidente del Consiglio, gli potrà porre questa domanda».
Berlusconi è sulla stessa linea: «Nessuno ha mai pensato a rientri anticipati - dice -. Il nostro obbiettivo è quello di caricare di maggiori responsabilità il nuovo governo e di formare il maggior numero possibile di soldati afghani e di forze dellordine locali per aumentare le capacità di Karzai di garantire la sicurezza». Il Cavaliere la chiama appunto transition strategy. «Noi avevamo già in mente il progetto, sempre condiviso con gli alleati, di riportare a casa i soldati che avevamo mandato laggiù in occasione delle elezioni». Il ritiro è unaltra cosa.
Il premier rende omaggio ai caduti con una visita al Sacrario dellesercito, dove sullalbum delle firme scrive: «Questa è lItalia migliore da cui dobbiamo prendere esempio». Poi a Palazzo Chigi presiede il Consiglio dei ministri.Dalla Lega toni bassi: Roberto Calderoli si limita a chiedere una verifica sui nostri contingenti in Libano e nei Balcani e in serata Umberto Bossi, da Milano,risponde con un «no» deciso a chi gli chiede se sia ancora convinto di un ritiro immediato dellintero contingente, anche se si augura «che per Natale un po di soldati possano tornare a casa».
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