La Nautica Contesa

«Perché il governo Monti è stato insensibile anche alle poche modifiche che potessero alleggerire il peso della tassa di stazionamento?», si interroga angosciato l’amico Franco Michienzi, direttore di Barche. Chiaro: «Perché la nautica è schierata a destra su posizioni molto estremiste...». Analisi bizzara. E imbarazzante. Ogni riferimento al Giornale di Bordo non è casuale. E «perché gli altri quotidiani nazionali avrebbero dovuto parlare positivamente di nautica quando si è scelto di interloquire con i governanti con uno strumento molto caratterizzato politicamente?». Anche qui il riferimento a Ucina-Confindustria Nautica non è casuale se è vero, com’è vero, che l’associazione guidata da Anton Francesco Albertoni investe sul Giornale di Bordo. Come del resto fanno altri nostri prestigiosi inserzionisti. È questo il punto. Peccato però, che Ucina investa anche su altri quotidiani nazionali. E non è pubblicità occulta, cioè invisibile. Detto questo, siamo perfettamente d’accordo con Michienzi: «È urgente ricostruire l’immagine della nautica e tutti dovremmo interrogarci su cosa abbiamo sbagliato». Certo. Ma chi dovrebbe guardarsi allo specchio? Noi o le riviste specializzate che negli anni di vacche grasse sbattevano in copertina lussuosi yacht con tanto di Jacuzzi e belle donne a bordo? E parlavano di leasing come del grande strumento di sviluppo? Erano gli anni dell’euforia. E tutto andava bene madama la marchesa: 200 pagine patinate di pubblicità e via. Poi, all’alba del 2008 qualcuno s’è accorto che il fieno in cascina cominciava a scarseggiare. Era la crisi. Che adesso rischia di diventare isterica... Sì, s’impone una riflessione seria, per non ripetere gli errori del passato. Non ci sarebbero più alibi. E ancora: «Dobbiamo smettere di dare l’impressione di voler difendere gli evasori fiscali...», ammonisce Barche. È doveroso! Ma lo faccia chi ha tollerato i furbetti. Noi abbiamo sempre scritto - e continueremo a farlo - di industria, innovazione, turismo da diporto. Di made in Italy, di quinta voce dell’export, di leadership mondiale. Di un cluster marittimo criminalizzato, ma che vale 40 miliardi. Di straordinarie storie imprenditoriali.

Delle attese di aziende in difficoltà. E di 100mila famiglie (tre anni fa erano 129mila) che vivono di questo lavoro. A tutto il resto provvede Eva-q, la miracolosa supposta effervescente. E il mal di pancia non c’è più.

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