
Dopo 22 anni di carcere duro al 41 bis, Pino Piromalli, il boss storico della 'ndrangheta di Gioia Tauro, era tornato in libertà nel 2021. Da allora, secondo la Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria, non ha mai smesso di ricostruire la sua cosca. Oggi, a 80 anni, Piromalli – conosciuto come "Facciazza" o "Lo sfregiato" – è di nuovo in manette. È lui il principale indagato dell’operazione "Res Tauro", il maxi blitz dei carabinieri del Ros che ha portato all’arresto di 26 persone accusate, a vario titolo, di associazione mafiosa, estorsione, riciclaggio, detenzione illegale di armi e turbativa d’asta. Secondo gli inquirenti, il boss non solo avrebbe ripreso in mano le redini della cosca, ma lo avrebbe fatto con una determinazione e una lucidità criminale che la lunga detenzione non ha scalfito. Il suo obiettivo sembra chiaro agli inquirenti: restaurare l’antico potere della 'ndrina di Gioia Tauro, uno dei gruppi storicamente più influenti della ‘ndrangheta calabrese.
"Questa tigre che è Gioia Tauro"
La visione del boss era quella di un ritorno alle origini. In alcune intercettazioni riportate nelle carte dell’inchiesta, Piromalli definisce la cosca come "questa tigre che è Gioia Tauro", una potenza da risvegliare, da riorganizzare secondo le vecchie regole della 'ndrangheta. L’ex detenuto, scarcerato nel 2021 per fine pena, si sarebbe subito mosso per ricompattare le fila, riunire affiliati storici e nuove leve, e riaffermare il suo potere sul territorio. Una delle frasi intercettate è emblematica: "Io sono il padrone di Gioia", avrebbe detto Piromalli, lasciando pochi dubbi sulla sua intenzione di rimettersi al vertice dell’organizzazione.
Il ritorno del clan
L’indagine, coordinata dal procuratore capo di Reggio Calabria Giuseppe Borrelli e dal sostituto procuratore Stefano Musolino, ha permesso di ricostruire in dettaglio la rinnovata struttura della cosca Piromalli, attiva nei tradizionali settori dell’estorsione e del controllo degli appalti pubblici, ma anche nel riciclaggio di capitali illeciti, nell’intestazione fittizia di beni e nella gestione di armi e munizioni. Non si tratta solo di un’operazione repressiva, ma di una fotografia attuale e preoccupante di come le grandi cosche siano capaci di rigenerarsi. La Piromalli, una delle famiglie più potenti della piana di Gioia Tauro, avrebbe ritrovato una nuova compattezza, tornata ad essere – come scrivono i magistrati – "una delle cosche più temibili e autorevoli della 'ndrangheta".
Un nome, un territorio
Non è un caso che l’operazione sia stata battezzata "Res Tauro". Il nome richiama direttamente Gioia Tauro, territorio di influenza storica della cosca. "Res" in latino indica la "cosa", il "bene", la "proprietà": l'indagine suggerisce che il clan considerasse quel territorio, con tutto ciò che contiene – imprese, porti, appalti – come cosa propria. Un’estensione naturale del potere mafioso. E proprio il porto di Gioia Tauro, snodo cruciale per il traffico merci nel Mediterraneo, rimane una delle aree più sensibili e infiltrabili. La cosca Piromalli è da decenni considerata capace di condizionare il ciclo economico e logistico della zona, con contatti che spaziano dal settore marittimo a quello politico-amministrativo.
Le accuse e i rischi
Le 26 misure cautelari, emesse dal gip di Reggio Calabria, colpiscono non solo i vertici, ma anche affiliati e fiancheggiatori del clan. Le accuse sono gravi: associazione mafiosa, estorsione, riciclaggio e autoriciclaggio, turbata libertà degli incanti, intestazione fittizia di beni, favoreggiamento personale e detenzione di armi. Tra i destinatari dell’ordinanza ci sono anche imprenditori, presunti prestanome e soggetti che avrebbero agevolato la riorganizzazione del clan. L’operazione ha smantellato una rete che, secondo gli investigatori, stava tornando a essere pienamente operativa, con ramificazioni in tutta la Piana e oltre.
Un futuro incerto per il clan
Con il ritorno in carcere di Piromalli, si apre ora un nuovo capitolo nella lunga storia della cosca di Gioia Tauro. Se da un lato la magistratura e le forze dell’ordine sono riuscite a colpire duramente un'organizzazione che sembrava pronta a risorgere, dall’altro la resilienza delle famiglie mafiose calabresi resta un segnale d’allarme costante.
La 'ndrangheta, ancora oggi la criminalità organizzata più potente d’Europa, continua a dimostrare una straordinaria capacità di adattamento e radicamento territoriale. Anche dopo decenni di carcere, i suoi boss riescono a rientrare in scena e a imporsi come punti di riferimento criminali. Proprio come ha fatto, secondo la Dda, Pino "Facciazza" Piromalli.