Trentuno anni sono passati dal 2 luglio 1994, eppure la storia di Paolo Adinolfi resta uno dei più inquietanti misteri della magistratura italiana. Quel giorno, il magistrato romano uscì dalla sua abitazione in via della Farnesina e non fece più ritorno. Da allora, di lui non si hanno notizie, e il suo caso è rimasto senza soluzione, facendo di Adinolfi l’unico giudice scomparso nella storia della Repubblica.
Chi era Paolo Adinolfi?
Nato e cresciuto a Roma, di formazione cattolica e con una carriera brillante alle spalle, Adinolfi aveva superato giovanissimo il concorso in magistratura. Dopo una prima esperienza a Milano, era tornato nella capitale, dove aveva lavorato per anni nel Tribunale Civile, prima nella sezione Fallimentare, poi nella Seconda Sezione Civile. Poco prima della scomparsa, era stato promosso consigliere alla Corte d’Appello di Roma, incarico che avrebbe dovuto ricoprire da pochi giorni.
Colleghi e amici lo ricordano come un magistrato integerrimo, dedito al lavoro e attento ai dettagli, capace di muoversi con discrezione anche nei contesti più delicati. La sua vita privata appariva equilibrata: non emergono segnali di problemi personali, malattie o difficoltà economiche. Chi lo conosceva parla di un uomo riservato ma solare, stimato dai colleghi e amato dalla famiglia.
La mattina del 2 luglio 1994
La giornata della scomparsa inizia come tante altre. Adinolfi esce di casa alle 9 del mattino, salutando la moglie e assicurandole che sarebbe tornato per pranzo. Si dirige verso la biblioteca del Tribunale Civile di Roma, in viale Giulio Cesare, dove aveva trascorso gran parte della sua carriera. Lì effettua alcune operazioni bancarie presso lo sportello interno: trasferisce un conto corrente e prepara un vaglia di 500.000 lire destinato alla moglie, spedito poco dopo in un ufficio postale nella zona del Villaggio Olimpico.
Secondo alcune testimonianze, Adinolfi prende poi un autobus per raggiungere la casa della madre nel quartiere Parioli. Nella cassetta postale della sua abitazione vengono ritrovate le chiavi di casa e quelle della sua automobile, che sarà rinvenuta poco dopo nella stessa zona. Da quel momento, le tracce del magistrato si perdono completamente.
Testimonianze contraddittorie indicano che Adinolfi sarebbe stato visto su un altro autobus diretto verso la stazione Termini e nella zona sud della capitale. Altri testimoni affermano di averlo incrociato negli uffici di piazzale Clodio insieme a un giovane sconosciuto. Questi dettagli, mai chiariti, alimentano ancora oggi il mistero sulla sua sorte.
Il contesto lavorativo e le possibili motivazioni
Al momento della scomparsa, Adinolfi si trovava in un delicato momento della carriera. Dopo vent’anni di lavoro alla sezione Fallimentare, dove aveva trattato casi di aziende di rilevanza nazionale, era da pochi giorni alla Corte d’Appello. La sua esperienza lo aveva portato a confrontarsi con vicende complesse, a volte sfiorando il mondo della criminalità economica.
Tra i casi più rilevanti figurano il fallimento della Fiscom e quello della Ambra Assicurazioni. Nel primo caso, fu condannato Enrico Nicoletti, considerato il cassiere della Banda della Magliana, la potente organizzazione criminale romana degli anni ’70 e ’80. La presenza di Adinolfi nelle aule del tribunale fallimentare, e la sua reputazione di magistrato integerrimo, lo rendevano una figura scomoda per chi operava nell’illegalità.
Secondo alcune ipotesi investigative, Adinolfi sarebbe stato messo a conoscenza di operazioni finanziarie illecite, compravendite fittizie, bancarotte fraudolente e investimenti sospetti legati a membri dei Servizi e della malavita organizzata. Due giorni dopo la scomparsa, avrebbe dovuto recarsi a Milano per consegnare documenti sensibili al pm Nocerino, relativi a questi filoni investigativi.
Telefonate anonime e prime ipotesi
Fin dai primi mesi dopo la scomparsa, emergono elementi inquietanti. Telefonate anonime ricevute nel 1994 e nel 1995 suggerivano la morte del magistrato, senza però fornire alcun riscontro. La trasmissione televisiva Chi l’ha visto? documentò questi avvertimenti, ma le segnalazioni non portarono a conclusioni concrete.
Le ipotesi investigative
Tra le piste investigative più seguite nel corso degli anni, alcune sembrano emergere con maggiore forza, pur senza mai arrivare a certezze. C’è chi ha ipotizzato che Paolo Adinolfi possa aver subito un malore improvviso o, forse, essersi allontanato volontariamente, ma nessuna di queste ipotesi ha trovato conferma concreta. Altri hanno avanzato l’idea che dietro la sua sparizione ci possa essere stato un rapimento o addirittura un omicidio, legati a casi giudiziari particolarmente delicati con cui il magistrato si era confrontato.
Il filone investigativo più accreditato, tuttavia, lega la sua scomparsa al mondo della criminalità organizzata romana, in particolare alla Banda della Magliana, l’organizzazione che tra gli anni ’80 e ’90 controllava vaste porzioni della città e gestiva complessi flussi di denaro illecito. Secondo questa ipotesi, l’integrità del magistrato sarebbe stata vista come un ostacolo: Adinolfi avrebbe bloccato interessi economici illegali, diventando così un “problema” da eliminare. In questa chiave, la sua sparizione non apparirebbe casuale, ma un gesto deliberato per rimuovere chi, con la propria onestà e il proprio ruolo, interferiva con affari illeciti e reti di corruzione.
Il contesto criminale
Tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’90, la Banda della Magliana dominava Roma, imponendo il controllo su territori e affari illeciti. In quegli anni, molte organizzazioni criminali nazionali iniziarono a spostarsi al nord, spesso riciclando denaro attraverso società fantasma e prestanomi.
Il tribunale fallimentare di Roma rappresentava un nodo cruciale: le decisioni dei giudici potevano bloccare operazioni di riciclaggio, frodi finanziarie e compravendite immobiliari fittizie. Gli investigatori ipotizzano che la sua scomparsa sia stata orchestrata per fermare il suo intervento giudiziario.
La riapertura delle indagini
Dopo più di tre decenni, le autorità hanno deciso di riaprire il fascicolo sulla scomparsa di Adinolfi. Sono stati avviati scavi sotto la Casa del Jazz, edificio costruito su un terreno confiscato alla Banda della Magliana in via Cristoforo Colombo. Si tratta di un punto simbolico: proprio lì gli investigatori ipotizzano possa trovarsi il corpo del magistrato, collegando il caso direttamente alle attività criminali degli anni ’80 e ’90.
L’interesse delle autorità si concentra su un’area strettamente legata alla malavita organizzata, dove già in passato erano state sepolte persone e materiali di interesse investigativo. La speranza è che questi scavi possano finalmente far luce sulla sorte di Adinolfi.
Il mistero irrisolto
Nonostante gli anni e le innumerevoli ipotesi investigative, la vicenda di Paolo Adinolfi resta un mistero irrisolto. Rimangono i dettagli contraddittori, le testimonianze frammentarie, e la consapevolezza che un magistrato integerrimo possa essere stato eliminato per il suo lavoro.
Oggi, Adinolfi rappresenta non solo un caso di
cronaca, ma anche un simbolo della lotta per l’integrità nello Stato italiano: un uomo che, secondo molti, ha pagato con la propria scomparsa il prezzo di aver contrastato il crimine e la corruzione.