
Bastano alcuni Caf, tre avvocati spregiudicati (uno dei quali si era perfino comprato una Ferrari), un clan di camorra e un insospettabile poliziotto infedele con le sue competenze informatiche per far arrivare migliaia di irregolari, ognuno dei quali avrebbe pagato fino a 10mila euro per approdare in Italia. Sarebbe questa l’organizzazione criminale smantellata ieri con 45 misure cautelari che secondo l’indagine della Polizia di Stato e della Dda di Napoli, avrebbe messo in piedi un sistema per favorire 40mila ingressi clandestini attraverso una truffa che sfrutta le pieghe del decreto Flussi e del click day e «certe procedure troppo semplificate», dice il procuratore capo partenopeo Nicola Gratteri. In carcere sono finite 11 persone, tra cui i tre avvocati, 23 indagati sono ai domiciliari, tra questi anche mediatori e l’agente infedele, mentre gli altri indagati tra cui gli imprenditori sono stati sottoposti ad obblighi di firma.
Mentre il sindacato si è schiantato sul referendum per la cittadinanza accelerata agli stranieri, il sistema dei flussi regolari d’ingresso - come aveva denunciato l’anno scorso il premier Giorgia Meloni - diventa terreno di caccia di boss e imprenditori spregiudicati, a danno di chi vuole regolarmente assumere operai nel settore dell’edilizia o braccianti in piccole aziende agricole per sostenere la filiera campana.
È nei comuni del Nolano di San Giuseppe Vesuviano ed Ottaviano che dentro la comunità di cittadini del Bangladesh sarebbe nata questa truffa, orchestrata da tre distinte associazioni per delinquere, ognuna delle quali era guidata da un avvocato e dai gestori di alcuni Caf, pronti a lucrare su extracomunitari onesti, interessati ad entrare in Italia o a regolarizzare la propria posizione sul territorio nazionale, sfruttando le pieghe delle procedure dei flussi d’ingresso.
Parla di un meccanismo «ben collaudato» il pm Michele Del Prete, che per la Direzione distrettuale antimafia ha coordinato le indagini. Utilizzando gli Spid di imprenditori compiacenti e mediatori bengalesi, venivano istruite e inoltrate migliaia di richieste fittizie di assunzione di aspiranti lavoratori extracomunitari in cambio di compensi di denaro. Ma la documentazione restituita agli ignari richiedenti era falsa, come si sono accordi due bengalesi che volevano portare in Italia i propri familiari e che hanno sporto denuncia dopo che l’organizzazione gli aveva estorto migliaia di euro. Ma nessun imprenditore aveva in realtà dato l’ok né all’assunzione né all’alloggio dove ospirare chi presentava le istanze. «Eventuali migliorie sul piano del controllo sono auspicabili», ribadisce Gratteri alla conferenza stampa hanno preso parte anche il Questore di Napoli, Maurizio Agricola e il dirigente della Squadra Mobile di Napoli Giovanni Leuci. Sono stati sequestrati beni per due milioni di euro, tra cui anche la Ferrari.
Dell’affare si era interessato anche il clan di camorra dei Fabbrocino, che sfruttavano i loro contatti diretti con i Caf per prendere parte al business. E quando non ci riuscivano imponevano delle estorsioni. «Spesso la semplificazione è una facilitazione per i criminali e si creano spazi per la camorra, che si inserisce dove c’è guadagno» ha aggiunto Gratteri, parlando del meccanismo che avrebbe protetto almeno 40mila richieste di visto su 160mila solo in Campania. «Non tutti i richiedenti lavoro erano interessati davvero a un impiego in Italia, l’obiettivo dei migranti era entrare», come è emerso dalle indagini. Infatti, spesso i permessi di soggiorno per lavoro non sono stati neanche ritirati. «Ora è in corso un lavoro di analisi sulle domande e i visti, con il reale permesso di soggiorno emesso. Valuteremo reale elusione della norma», ha spiegato il questore Agricola.
«I migranti pagavano in contanti subito 2-3mila euro, al compimento della pratica dopo 20-30 giorni e l’arrivo del nulla osta, per ottenere il visto fino a 9-10mila euro», hanno spiegato gli inquirenti. «Senza intercettazioni - ha aggiunto il capo della Mobile Leuci - non avremmo saputo quel che c’era dietro le finte assunzioni».