Un attentato dimostrativo avvenuto a Firenze all’inizio del 2024 torna oggi al centro dell’attenzione investigativa, alla luce di una più ampia inchiesta della procura di Genova sui presunti finanziamenti ad Hamas. A ricostruire il collegamento è Repubblica in un articolo firmato da Lirio Abbate. Nella notte tra il 31 gennaio e l’1 febbraio 2024 Dani Hakam Taleb Moh’d, cittadino italiano di origine palestinese, lanciò due bottiglie incendiarie contro il consolato degli Stati Uniti a Firenze. Gli ordigni esplosero sull’asfalto senza provocare feriti né danni all’edificio. Rivendicata su Telegram con un video e messaggi di ispirazione islamista, l’azione del 23enne fece scattare l’allerta antiterrorismo.
Moh’d è stato arrestato, processato e condannato a due anni per fabbricazione e trasporto di ordigni incendiari, ma assolto dall’accusa di terrorismo. La sua vicenda giudiziaria sembrava conclusa. Tuttavia, secondo quanto sottolineato dal quotidiano, quell’episodio assume oggi un nuovo rilievo investigativo. Non perché Moh’d sia coinvolto nell’inchiesta genovese — non risulta indagato — ma per le connessioni che sarebbero emerse analizzando i suoi contatti e i materiali digitali sequestrati all’epoca. Le indagini condotte nel 2024 dall’antiterrorismo di Firenze avevano già evidenziato come il giovane gravitasse in un’area considerata sensibile. Dalle chat Telegram, dai dispositivi informatici e dalle relazioni personali emerse un profilo definito dagli inquirenti come ibrido: un soggetto radicalizzato, privo di affiliazioni dirette, ma inserito in un contesto più ampio fatto di attivismo ideologico, proselitismo e ambienti riconducibili all’associazionismo islamico.
Proprio alcuni di questi ambienti sono oggi al centro dell’inchiesta della procura genovese, che ha portato all’arresto di nove persone accusate di aver finanziato Hamas attraverso una rete strutturata di associazioni benefiche. Oltre ad Hannoun, tra gli arrestati figura Raed Al Salahat, esponente di rilievo della comunità islamica fiorentina, indicato dagli inquirenti come parte dell’articolazione italiana dell’organizzazione. Persone a lui vicine risulterebbero essere state in contatto con Moh’d nel periodo dell’attacco al consolato.
Il collegamento non è di natura giudiziaria ma emergerebbe sul piano delle relazioni e dei contesti. L’azione di Moh’d fu qualificata come gesto isolato, ma la comunicazione che la accompagnò — video, simbologie, linguaggio e canali utilizzati — risultava strutturata e coerente con la propaganda jihadista. Sul canale Telegram “The whole world is Hamas” - presente sul suo telefono - comparvero messaggi che esprimevano sostegno ideologico all’organizzazione, senza rivendicarne formalmente l’appartenenza.
Due storie che non si sovrappongono sul piano dei reati contestati, ma che - ha aggiunto Abbate - si toccano nei percorsi, nei contatti e negli ambienti.
Da un lato un giovane condannato per un’azione dimostrativa, dall’altro una rete accusata di sostenere economicamente un’organizzazione terroristica. Un intreccio che potrebbe contribuire a delineare un quadro più ampio della radicalizzazione e delle sue zone d’ombra.