"Leo? È un fallimento per tutti". Cosa si nasconde dietro il suicidio di Senigallia

Un giovane su quattro viene tormentato dai bulli. L'allarme: c'è una legge che può evitarlo, ma va resa operativa

"Leo? È un fallimento per tutti". Cosa si nasconde dietro il suicidio di Senigallia
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Il suicidio del 15enne di Senigallia, che non ha retto alle vessazioni dei bulli a scuola, “pone drammaticamente sotto accusa un sistema che non è stato in grado di proteggere una vita fragile e vulnerabile. La morte di questo giovane rappresenta un fallimento della nostra società, che non è stata in grado di intercettare e affrontare il suo dolore prima che fosse troppo tardi“. A dire ad alta voce quello che tutti pensano è Giuseppe Lavenia, presidente dell’associazione Nazionale Di.Te. (Dipendenze Tecnologiche e Cyberbullismo). "Non possiamo più permetterci di trattare il bullismo come un problema marginale. Serve un presidio psicologico fisso nelle scuole, dove i ragazzi possano sentirsi al sicuro e trovare uno spazio in cui essere ascoltati, senza paura di essere giudicati o ignorati“.
La tragedia di Senigallia è la storia di una fragilità, di una profonda solitudine, schiacciata sotto il peso di continue prese in giro. Nessun «allarme rosso» per immagini oscene pubblicate sui social ma una martellamento psicologico e quotidiano che capita a tanti, ogni giorno, anche se non denunciano. Un ragazzo su 4 si sente bullizzato: principalmente per l’aspetto fisico, poi per ragioni economiche o per appartenenze etniche. Tante volte per nulla. Ma quel nulla non è più trascurabile, fa male e, a volte, uccide.

La legge per far fronte al bullismo esiste: è stata pubblicata lo scorso maggio in Gazzetta ufficiale con gli aggiornamenti per rafforzare la prevenzione e la formazione tra giovani, scuole, famiglie, associazioni sportive. Ma manca il tavolo tecnico, non ancora riunito. Servirà a declinare tutte le misure attuative per rendere la legge operativa. Gli ostacoli da superare sono parecchi, a cominciare dai fondi.

Necessari a formare il personale nelle scuole (perché sia in grado di cogliere i segnali del disagio) e a mettere in grado i tribunali dei minori (che già convivono con il problema della carenza degli assistenti sociali) di operare e organizzare i corsi, previsti dalla nuova legge, per le famiglie. In questo modo anche la denuncia delle mamme (come ha fatto la mamma dei 15enne di Senigallia) può avere seguito e non rimanere “in sospeso".

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