Matrimonio, la colpa è del patriarcato? Ma ci faccia il piacere

La gente che piace punta a un matrimonio debole e senza fedeltà. Ma la realtà è un'altra

Matrimonio, la colpa è del patriarcato? Ma ci faccia il piacere

Il matrimonio al contrario. Ecco un buon titolo per un possibile spin off, come si dice oggi, dell’ormai celebre libro del generale Vannacci. Con un po’ di fortuna, potrebbe diventare un altro esperimento che sfugge dalle mani degli apprendisti stregoni mediatici, e scalare anch’esso le classifiche di vendita.

In effetti, sono proprio il matrimonio e la famiglia i temi che maggiormente ispirano nella gente comune un senso di profonda insofferenza verso i dogmi del pensiero unico. Non soltanto tra i più anziani. Anzi, sono particolarmente i più giovani, quelli che oggi rifiutano di sposarsi – o anche volendo non riescono nemmeno a progettarlo – a verificare quotidianamente quanto siano falsi i luoghi comuni che il conformismo woke vorrebbe imporre loro riguardo alle scelte familiari.

Un esempio di queste distorte prospettive lo si ritrova nell’intervista appena rilasciata da Alice Urciuolo al quotidiano La Stampa. Si tratta di una giovane scrittrice, classe 1994, che a dispetto dell’età è già stata tra i finalisti dello Strega, e lavora come sceneggiatrice di programmi tv sulle tematiche giovanili. Quasi a volerci spiegare indirettamente le ragioni del suo relativo successo, essa ci ha proposto la tesi per cui se i giovani di oggi non si sposano più la colpa sarebbe (e te pareva) del patriarcato.

Infatti, dopo le tradizionali giustificazioni delle difficoltà economiche che i giovani trovano nel mantenersi con il proprio lavoro, la Urciolo ci ha proposto una piccola tirata ideologica, per cui ciò che oggi non andrebbe più bene nel matrimonio tradizionale sarebbe la mancanza di libertà individuale, soprattutto per la donna.

“L'istituzione del matrimonio ha una storia, rimanda a una struttura della società patriarcale, dove la donna è sempre stata in una posizione di sottomissione rispetto all'uomo, da un punto di vista economico, di cura, sessuale, anche riproduttivo”, ha sostenuto la giovane scrittrice. “Tuttora” – a suo dire – “ci sono meccanismi invisibili, regole inconsce, ruoli di genere assegnati dalla società, che alla fine distribuiscono carichi di lavoro alla vecchia maniera”.

Insomma, la colpa sarebbe della mentalità maschilista, anzi al maschile, che non vuole morire e intossica pure ciò che resta del matrimonio. Per questo i giovani di oggi ne rifuggirebbero. E se ideologica è la diagnosi, altrettanto scontatamente tale è la terapia proposta dalla Urciuolo: “C'è una parte della società dove sono stati fatti passi avanti. È la parte più istruita, abituata a parlare di questi temi, come il femminismo, la parità di genere, il mondo Lgbtqia+”.

E te pareva, quindi, che la salvezza non ci sarebbe venuta dal mondo omosessuale e da chi lo supporta. Vale a dire da coloro che, come la Urciuolo, arrivano in fretta a essere ammessi tra i finalisti del Premio Strega perché, ça va sans dire, sono la parte più istruita della società. Quella che può a buon diritto insegnarci come è meglio vivere.

Il problema per cui i giovani oggi rifiutano sempre più il matrimonio, dunque, secondo la nostra scrittrice sarebbe consistente nella diseguaglianza di genere, rispetto alla quale solo il modello omosessuale – laddove non esiste più una polarizzazione tra maschile (tossico) e femminile (salvifico) – può proporre la soluzione perfetta. Che manco a dirlo sarebbe una soluzione di libertà.

E infatti, ha continuato la Urciuolo nella sua intervista alla Stampa, “i ventenni [di oggi] sono molto incuriositi dalle ‘non monogamie etiche’, il poliamore. Intendiamoci, non è che non esista il tradimento. Ma ora c'è molta più libertà nell'immaginare una relazione di coppia non esclusiva. C'è più rispetto per la possibilità di vivere l'amore in maniera più libera”.

L'altro grande problema del matrimonio, quindi – oltre alla persistenza della sottomissione femminile – sarebbe l’aspettativa di fedeltà reciproca che esso comporta. Non a caso, del resto, anche nel nostro Paese i promotori della legge sulle unioni civili si sono accuratamente premurati di escludere gli obblighi di fedeltà per le coppie dello stesso sesso. Tanto che nel "matrimonio egualitario”, prossima tappa della agenda lgbt-ecc., il requisito della fedeltà reciproca dovrà venire meno anche per i matrimoni eterosessuali. Così, sempre per spiegarci come si deve vivere per essere buoni e giusti.

Poi, ha concesso la Urciuolo, il tradimento esiste ancora. Ma sussisterà anche, dobbiamo supporlo, il modo politicamente corretto di affrontarlo. Per questo - vedi il caso dell’estate intercorso tra i due vip torinesi - se il cornuto è lui è richiesta la massima discrezione per non ricadere nel vizio patriarcale, mentre se a venire pubblicamente abbandonata è lei, allora si tratta di una intollerabile offesa alla dignità femminile.

Tutto molto bello e istruttivo, come un tempo diceva Giovannino Guareschi. Poi però non stupiamoci se la sensazione attuale è che la gente reale non ne possa più di una propaganda così slegata dalle esperienze di vita comuni. Questo anche rispetto al matrimonio, che essendo tema legato alla sessualità è uno dei più insidiati dal pensiero unico.

È proprio a causa di certi martellanti interventi politicamente corretti che, alla fine, i medesimi giornaloni che li ospitano in questi giorni devono registrare con sgomento il grande successo del generale Vannacci. Un personaggio che, almeno in partenza, era ancor più sconosciuto di Alice Urciuolo, almeno come scrittore. Perché è la vita quotidiana che induce le persone comuni a tanta insofferenza verso una certa visione assurda del mondo.

Chi scrive è un avvocato familiarista che, da anni, riguardo alle ragioni della crisi del matrimonio suggerisce una spiegazione in qualche modo collaterale a quella della sopra citata scrittrice. È la prospettiva di una futura mancanza di libertà che scoraggia le giovani generazioni dal mettere su famiglia. Ma è tutt’altro problema che li sgomenta.

Si tratta del fatto che i nostri giovani hanno ormai perfettamente compreso che disporre dei propri diritti attraverso il matrimonio è un sacrificio che non ottiene più in cambio alcuna garanzia di reciprocità. Essi sanno benissimo, anche senza aver consultato prima un avvocato, che dopo le nozze, in qualsiasi momento, quando uno dei due promessi sposi deciderà di riprendersi quella libertà che nel matrimonio avrebbe dovuto essere sacrificata a un progetto di vita comune, all'altro (che spesso avrebbe voluto mantenersi fedele) rimarranno soltanto, oltre alla devastazione di un progetto esistenziale fallito, pesanti obblighi che continueranno a condizionarlo per tutto il resto dell'esistenza.

Nella realtà della vita, e questo lo si dovrebbe aver capito fin da ragazzi, non può mai esservi libertà senza responsabilità. Tanto meno nei rapporti familiari, che sono alla base della vita di tutti. La parola fedeltà, così come fede e fiducia, derivano dalla stessa radice etimologica. Non può esserci fides se non c’è un foedus, un patto, un’alleanza. Il matrimonio fin dalla notte dei tempi è sempre stato questo: un’alleanza tra soggetti diversi, come non possono che essere l’uomo e la donna, ma che parimenti sono complementari e bisognosi dell’altro.

L’avvento del divorzio libero e incondizionato ha fatto sì che oggigiorno ciascuno dei due sposi possa abbandonare l'altro in ogni momento e in qualsiasi frangente, in nome della propria libertà individuale. Tutto questo senza nemmeno dover fornire spiegazioni, ma nello stesso tempo potendo continuare a pretendere obblighi verso se stessi, così come verso quei i figli che si sarebbero dovuti crescere insieme.

È esattamente questo che mantiene i giovani, e non soltanto loro, lontani da un istituto naturale e millenario, che negli ultimi cinquant’anni è stato svuotato del suo significato. Il matrimonio, per sua natura, dovrebbe tuttora essere espressione dell'importanza sociale di quel foedus - patto, alleanza - da cui dipende l’ordine sociale e lo status di ciascun membro della famiglia. E dunque, la sua stessa sicurezza e libertà personale. Oggi, invece, del matrimonio è rimasto soltanto un simulacro che serve ad attentare - questo sì - alla libertà individuale di chi vorrebbe rimanervi fedele.

Insomma, sussiste veramente un problema di libertà, ma in un senso assai diverso da quello che il pensiero progressista vorrebbe farci credere. E quanto all’influenza del cosiddetto patriarcato sul matrimonio, qui l'effetto generale Vannacci si sente particolarmente, perché chi vive la vita delle persone comuni, e reali, su un simile discorso non può che dare una risposta infastidita.

Nel nostro Paese, in realtà, esistono ancora tantissime donne, probabilmente la maggioranza, che se devono sacrificare la famiglia e la cura dei figli alle esigenze del lavoro, lo fanno solo per necessità. Non perché sentano il bisogno inderogabile di realizzarsi personalmente, né tantomeno di essere acclamate come eroine della lotta al patriarcato.

Queste donne, se solo potessero, abbandonerebbero volentieri i loro impieghi retribuiti per dedicarsi a tempo pieno alla cura dei figli e della casa. E questo perché, molto semplicemente, le differenze di genere che sgomentano il pensiero unico non sono delle costruzioni culturali. Al contrario, sono delle verità inscritte profondamente nel cuore dell'uomo e della donna.

La subcultura che vorrebbe un matrimonio fatto unicamente di diritti e di libertà individuali, dove la fedeltà rappresenta solo un residuo autoritario – mentre ciò che conta sarebbero soltanto i propri desideri o, meglio, le proprie voglie - è qualcosa che non risponde minimamente alle opinioni reali della gente. Quanto meno, di quella stessa gente che oggi prova una profonda insofferenza nel vedere che su certi temi certe cose elementari non possono più essere pubblicamente dette e nemmeno pensate.

Esistono fior di studi sociologici, realizzati sul campo, che ci svelano attraverso interviste alle persone reali, di tutte le età nonché di tutte le condizioni sociali e di vita, che cosa esse veramente pensino della famiglia. Gli interpellati ancor oggi danno risposte relativamente univoche, in favore del matrimonio tradizionale. Nonostante che gli ultimi cinquant’anni siano stati dominati da un modello culturale per cui quest’ultimo avrebbe dovuto cedere il passo alla liberazione individuale della donna, così come – almeno da vent'anni a questa parte – avrebbe dovuto diventare un luogo privilegiato della indifferenziazione di genere. Cioè omosessuale.

Al di là di ogni condizionamento, se ancor oggi si chiede alle persone comuni quale sia il modello di vita che preferirebbero sperimentare, laddove abbiano la possibilità di sceglierlo liberamente, senza condizionamenti economici, culturali o sociali, le risposte sono tuttora univoche. Le persone reali ancor oggi vorrebbero per se stesse - o avrebbero voluto, se si trovano in un'età nella quale si sono già trovati a dover scegliere, magari dopo aver visto la loro vita interessata da esperienze di separazione e divorzio - il matrimonio monogamico stabile e con figli.

E gli uomini, intesi come maschi? Che ne pensano coloro che dovrebbero avere i maggiori vantaggi nello sposarsi, secondo lo schema che la Urciuolo paventa come tuttora fondato sulla sottomissione muliebre?

Al di là degli studi sociologici, una risposta mi è stata offerta qualche anno fa da uno dei miei figli. Posso garantire che non ha mai letto alcuno dei libri me scritti sull'argomento, anche se probabilmente ha visto qualcuna delle trasmissioni tv sceneggiate dalla Urciuolo.

Tuttavia, egli ha acquisito fin dalla adolescenza la consapevolezza che proviene dall'aver osservato l'esperienza di tanti suoi coetanei e compagni di scuola. Un giorno, alla richiesta di mia moglie sulla sua eventuale intenzione, prima o poi, di regalarle un nipotino, il ragazzo ha risposto che gli sarebbe anche piaciuto, ma in realtà a sposarsi o a convivere non ci pensava nemmeno. Questo perché aveva una gran paura che la sua compagna, dopo la nascita del figlio, lo avrebbe cacciato di casa. E ancor oggi che è un po’ cresciuto e ha un suo lavoro, con uno stipendio che molti suoi coetanei si sognano, tuttora si guarda bene dal prendere in considerazione l’ipotesi.

Questo modo di pensare è assai più diffuso nella società di quanto i media mainstream riescano a recepire. Così si spiega perché alla fine giovani scrittrici come la Urciuolo, classe 1994, possano anche rilasciare ai giornaloni interviste sui motivi per i quali il matrimonio non piace più alla gente che piace.

Ma poi siano vecchi arnesi ancora più sconosciuti in partenza, come il generale Vannacci, che se per errore riescono a fare capolino oltre la cappa del conformismo imperante, va a finire che in meno di una settimana vendono più copie di Michela Murgia.

Insomma, come avrebbe detto il grande Totò, la colpa è del patriarcato? Ma che ci facessero il piacere.

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