
Era un nullatenente sui generis da quasi 30 anni, ma vantava un patrimonio di più di 40 milioni di euro senza nemmeno nasconderlo troppo. L’imprenditore campano 63enne A.M., già arrestato e condannato in via definitiva per concorso esterno in associazione camorristica e per trasferimento fraudolento di valori aggravato dal metodo mafioso, tra il 1998 e il 2025, nell’arco di 28 anni, risultava non aver praticamente percepito alcun reddito, come pure il resto della sua famiglia, o aver dichiarato redditi risibili, soprattutto rispetto alla evidenza lampante della sua disponibilità finanziaria.
L’uomo, come detto, era stato arrestato in seguito alle indagini portate avanti dalla Dda di Napoli, in quanto considerato gestore di una galassia di società attive nel riciclaggio dei soldi sporchi del clan camorristico “Puca”, attivo soprattutto nei comuni di Sant’Antimo, Casandrino e Grumo Nevano, tutti nell’hinterland a Nord di Napoli, ma che vantava interessi ed entrature che si spingevano fuori dalla regione, fino all’Emilia Romagna. E in seguito agli accertamenti svolti, ieri la Finanza ha messo le mani sul patrimonio del “nullatenente”, sequestrando beni per un valore di quasi 42 milioni di euro (41,8): si tratta del denaro depositato in cinque conti correnti bancari, riconducibili direttamente all’imprenditore, delle quote societarie di sei aziende, di sei automobili di grande valore e, soprattutto di un numero impressionante di beni immobiliari: ben 126 tra appartamenti, uffici e terreni, immobili sparsi in tre province di tre distinte regioni: Caserta, in Campania, Frosinone, nel Lazio, e Ravenna in Emilia Romagna.
La Dda di Napoli, messi gli occhi sul 63enne, aveva affidato le indagini ai Nuclei di Polizia Economico-Finanziaria delle fiamme gialle di Napoli e Bologna. E i finanzieri hanno scoperto come l’imprenditore fosse il gestore di fatto di numerose aziende e società, in buona parte intestate a terzi che facevano da prestanome, tutte attive nel settore immobiliare e intente a portare a termine operazioni speculative finalizzate a reimpiegare i capitali accumulati dal clan con le sue attività criminose.
Ma lui stesso, in prima persona, risultava comunque titolare di numerose società e intestatario di centinaia di immobili regolarmente registrati. Una decisa imprudenza visto che il tutto, come detto, avveniva mentre l’uomo e la sua stessa famiglia erano praticamente sconosciuti al fisco, avendo omesso di dichiarare redditi – o avendone dichiarati in misura minima - per oltre un quarto di secolo.
Il maxisequestro di ieri rappresenta uno dei più imponenti colpi inferti al patrimonio mafioso in Campania nell’anno in corso, anche per l’estensione geografica dei beni colpiti dal provvedimento emesso dal Tribunale di Napoli.
E il valore del patrimonio sottratto alla criminalità – come detto, quasi 42 milioni di euro – testimonia l’enorme capacità del clan Puca di infiltrarsi nei circuiti legali dell’economia, anche al di fuori del suo tradizionale territorio d’azione, con importanti infiltrazioni affaristiche nel Nord del Paese.