
Le piazze italiane tornano a riempirsi, ma la parola “pace” quella pronunciata con speranza oggi risuona tra cori, fumogeni e sirene. Da Nord a Sud, manifestazioni nate per invocare la fine della guerra si sono trasformate, troppe volte, in scenari di tensione e violenza. A Milano, Roma, Bologna, Torino e Firenze, gli scontri con le forze dell’ordine hanno segnato giornate difficili: lanci di bottiglie, spintoni, insulti, aggressioni. Agenti feriti, cittadini impauriti, attività commerciali costrette a chiudere. Le immagini mostrano vetrine devastate, muri imbrattati, simboli religiosi e istituzionali vilipesi. Scene che nulla hanno a che vedere con il diritto di manifestare, e molto con un pericoloso disprezzo per la legalità e per il vivere civile.
Questo non è manifestare. Bloccare strade, paralizzare città, colpire poliziotti e carabinieri, danneggiare chiese o sedi pubbliche non è libertà di espressione: è un attentato alla sicurezza nazionale, un’offesa diretta alla democrazia e ai cittadini che la rispettano ogni giorno. Chi invoca la pace non può seminare violenza. La pace non si urla: si costruisce, con responsabilità, rispetto e dialogo. In questo clima esasperato, un ringraziamento importante va a chi ha difeso con coraggio le nostre città: alle forze dell’ordine, che hanno contenuto gli scontri spesso in condizioni estreme; alla magistratura, che continua a garantire il rispetto della legge; e ai prefetti, che hanno gestito con lucidità e fermezza situazioni di altissima tensione. La loro presenza silenziosa ma costante è la dimostrazione che lo Stato, quando serve, c’è —e protegge tutti, anche chi protesta.
I cittadini onesti e per bene, pur potendo in qualche caso condividere le ragioni umane di chi manifesta per la causa palestinese, non vanno in giro a picchiare poliziotti o carabinieri, a bloccare treni, a paralizzare la circolazione stradale, a imbrattare monumenti culturali o Cattolici e a offendere le istituzioni. Protestare è un diritto democratico. Fare violenza contro le persone per bene e contro chi lavora, no. La differenza tra libertà e anarchia sta tutta lì nel rispetto, non nel caos.