
“Potrebbero ritrovarsi altre tracce ematiche in altre zone dell'edificio”. Lo sostiene il professore Tommaso Spasari, docente di Medicina Legale UniCusano, tra gli ospiti del programma “Incidente Probatorio”, condotto da Gabriele Raho su Canale 122 Fatti di Nera, nel corso della puntata dedicata al delitto di via Poma, disponibile on demand sulla piattaforma Cusanomediaplay.it.
Era il 7 agosto del 1990 quando in un ufficio di via Carlo Poma a Roma nel quartiere Prati trovava la morte la giovane Simonetta Cesaroni, 19 anni appena. Il suo corpo fu rinvenuto dopo le 23, molte ore dopo il delitto, con 29 ferite da arma da taglio. Quello di via Poma è uno dei casi irrisolti che più ha attirato l'attenzione dei media nel corso degli anni, con inchieste che si sono susseguite, colpi di scena e una nuova indagine tuttora in corso. A destare mille dubbi c'è un dettaglio non da poco: la scena del crimine fu trovata insolitamente pulita, come se qualcuno avesse provato a cancellare via ogni traccia di quell'efferato omicidio. “L'assassino – sostiene il professor Spasari – potrebbe aver chiesto aiuto ad una seconda persona per pulire la scena del crimine. È verosimile che conoscesse l'edificio ed è possibilissimo che, dopo aver ripulito, abbia trasferito con l'ascensore gli indumenti e altri oggetti, per buttarli in un'area periferica o bruciarli. Quindi, in quell'edificio potrebbero trovarsi altre tracce ematiche”.
Per capire qualcosa in più su via Poma, si deve partire dalla vittima. Simonetta Cesaroni era una ragazza di 19 anni, dipendente della segreteria dell'AIAG (Associazione italiana degli Alberghi della gioventù). Era in quell'ufficio, quando è stata uccisa.
Simonetta Cesaroni “era una ragazza semplice, con dei valori essenziali, che sognava di costruirsi una famiglia e che non aveva particolari ambizioni lavorative”. E’ quanto afferma Laura Volpini, psicologa giuridica e criminologa, che ha effettuato una ricostruzione del profilo psicologico della vittima attraverso gli scritti, una serie di lettere inviate in quel periodo a familiari, amici e al fidanzato, e ascoltando chi la conosceva, intervistando più volte la sorella Paola.
Cosa successe nel pomeriggio del 7 agosto di 35 anni fa? “Quel giorno – sostiene Laura Volpini – Simonetta aveva l'ordine di non aprire a nessuno perché quello era un ufficio chiuso al pubblico di pomeriggio, quindi poteva aprire semplicemente ad una persona che conosceva bene o a qualcuno che con uno stratagemma poteva convincerla ad aprire. A mio avviso si tratta di un incontro con una persona che lei conosceva bene. Una persona che, poi, l'ha colpita con rancore, odio e rabbia”.
Secondo Laura Todaro, criminologa clinica e psicopatologa forense, la vittima e l'assassino si conoscevano: “Credo che la pista passionale sia sicuramente la più attendibile, rispetto alle altre che non hanno trovato riscontro”. Tra i macabri dettagli del delitto, non è sfuggito che “14 delle 29 coltellate sono state sferrate nella zona pubica” quasi “per la frustrazione di un rapporto che non si è consumato”. Nel corso delle varie inchieste, sono spuntati anche i servizi segreti, la banda della Magliana e addirittura collegamenti con il Vaticano, come se Simonetta fosse venuta a conoscenza di alcuni documenti top-secret e mai trovati. E restano ancora tanti dubbi sulle tracce di DNA trovate sul reggiseno e quelle, forse, non analizzate a fondo.
Se è vero che Simonetta aveva indossato biancheria pulita poche ore prima di recarsi in ufficio, com'è stato possibile trovare tracce di DNA risalenti a giorni prima? Sul tema, il professor Spasari ha un'idea precisa: “Quelle possono essere cancellate da un lavaggio con candeggina. Invece, l'assassino ha svestito Simonetta e rimosso l'abito insanguinato proprio per cancellare eventuali tracce di DNA. Se si trattasse di un serial killer, potrebbe addirittura aver conservato quel vestito come trofeo”. Ma il professore è sicuro: “L'assassino era in grado di intendere e di volere perché ha ripulito bene la scena del crimine anche dagli schizzi di sangue. La persona si era resa conto che in quella situazione potevano esserci orme sporche di sangue e altri indizi che avrebbero potuto incriminarlo o a facilitare la ricostruzione dell'iter criminis, e quindi portare in qualche modo alla sua identificazione”.
Laura Todaro solleva una serie di dubbi sulle inchieste: “Iniziano ad esempio mi sono interrogata gli scritti sulle presenze delle giornate in cui Simonetta ha lavorato in segreteria. Perché non c'erano delle presenze? Perché questi fogli sono scomparsi? Perché non si è indagato prima? Perché, a parte Pietrino Vanacore, nessuna delle persone che frequentavano lo stabile è stata indagata?”. Una serie di interrogativi a cui le nuove indagini potrebbero dare una risposta. Varie inchieste si sono sviluppate attorno al delitto di Poma, ma tutti gli indagati sono stati assolti o scagionati da ogni accusa prima di arrivare a giudizio. Dapprima Pietrino Vanacore, dal 1986 al 1995 portiere dello stabile dove avvenne l'omicidio, morto suicida prima della sua testimonianza ad un successivo processo; poi Salvatore Volponi, datore di lavoro della vittima; Federico Valle, il cui nonno Cesare Valle, progettista del complesso, risiedeva nello stabile; Raniero Busco, fidanzato della vittima, assolto in appello e in Cassazione; poi Francesco Caracciolo di Sarno, presidente dell'AIAG; infine Mario Vanacore, figlio del portiere.
Ad analizzare alcuni profili è il criminologo Davide Cannella: “Le attenzioni inizialmente si focalizzarono sul portiere Vanacore per ovvi motivi. Era la persona che aveva facile accesso al condominio in generale. Successivamente si puntò sul fidanzato Raniero Busco o su altri sospetti, come Federico Valle, che furono tirati dentro forzatamente.
È chiaro che l'assassino aveva la possibilità di entrare con facilità nell'edificio e in ufficio. Ma, ad oggi, c'è un dato sconosciuto: l'ora del decesso di Simonetta. Di lei – conclude Cannella – si sa solo che alle 17:30 fece una telefonata ed era ancora viva”.