Quando il giornalismo non tace, la mafia non ha fermato la sua voce: Pippo Fava

Il cronista siciliano che sfidò i poteri mafiosi, raccontò verità scomode e pagò con la vita il prezzo della libertà di stampa. Onore a lui

Quando il giornalismo non tace, la mafia non ha fermato la sua voce: Pippo Fava
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Ci sono nomi che non appartengono soltanto alla storia del giornalismo, ma a quella della libertà civile. Giuseppe “Pippo” Fava è uno di questi. Uomo senza padroni, giornalista che ha vissuto e scritto sempre con la schiena dritta, rappresenta l’immagine più autentica di chi intende il mestiere come servizio alla verità e ai cittadini. La sua vita, spezzata dalla violenza mafiosa a Catania il 5 gennaio 1984, rimane una testimonianza luminosa di coraggio e coerenza.

Nato a Palazzolo Acreide nel 1925, laureato in giurisprudenza, Fava scelse presto la strada del giornalismo. La sua carriera lo portò a collaborare con diverse testate e a dedicarsi anche al teatro e alla narrativa, ma ovunque operasse manteneva un principio intangibile: raccontare la realtà senza piegarsi ai compromessi. Per lui non esisteva “mezza verità”: o si stava dalla parte dei cittadini e della giustizia, oppure dalla parte del malaffare.
Nel 1982 fondò il mensile I Siciliani, che divenne subito un punto di riferimento per l’inchiesta giornalistica. Attorno a lui si raccolse un gruppo di giovani cronisti, animati dallo stesso spirito: costruire un giornalismo indipendente, capace di indagare e di svelare i legami oscuri tra criminalità, politica e affari. Era una voce scomoda, una penna libera, che non temeva di raccontare ciò che molti preferivano tacere.

Il primo numero de I Siciliani si aprì con un editoriale destinato a entrare nella storia: “I quattro cavalieri dell’apocalisse mafiosa”. In quel testo, pubblicato nel gennaio 1983, Fava descrisse il potere economico e politico di alcuni grandi imprenditori catanesi e il loro ruolo nella vita pubblica della città, denunciando il rischio che interessi privati e logiche criminali condizionassero la società civile. Fu un atto di giornalismo coraggioso e senza precedenti, che mise in luce con chiarezza il tema delle collusioni e delle pressioni occulte.
Fava sapeva di essere un uomo in pericolo. Nonostante questo, continuava a lavorare, convinto che tacere avrebbe significato complicità. La sera del 5 gennaio 1984, mentre si recava a prendere la nipote davanti al Teatro Stabile di Catania, fu ucciso. La mafia volle mettere a tacere una voce che dava fastidio, ma la sua morte trasformò la sua testimonianza in un’eredità ancora più potente.

Ricordare Pippo Fava oggi significa riconoscerne non solo il valore professionale, ma soprattutto quello umano e civile. La sua vita è l’esempio di un uomo che ha messo al primo posto il lavoro, il sacrificio e la libertà, raccontando ai cittadini italiani i retroscena più nascosti degli intrecci tra criminalità organizzata e poteri economici.
E ancora oggi avremmo bisogno di molti giornalisti come lui, capaci di non piegarsi, di indagare con onestà, di raccontare senza paura. La storia italiana è purtroppo segnata da altre vite spezzate dalla mafia: Mario Francese, cronista del Giornale di Sicilia, ucciso a Palermo nel 1979; Mauro De Mauro, giornalista dell’Ora di Palermo, scomparso nel 1970 e mai più ritrovato; Cosimo Cristina, giovane cronista di Termini Imerese, assassinato nel 1960; Peppino Impastato, militante e giornalista di Radio Aut, ucciso nel 1978; e ancora, nel 1993, Giuseppe Alfano, corrispondente di un quotidiano locale a Barcellona Pozzo di Gotto, colpito per le sue inchieste scomode.Tutti loro, come Fava, hanno pagato con la vita la scelta di non voltarsi dall’altra parte.
Grazie all’impegno, alla costanza e alla libertà di questi uomini, oggi più che mai dobbiamo essere tutti uniti nel dire che qualunque tipo di mafia, di sopraffazione e di illegalità fa schifo. Questo serve anche come monito alle nuove generazioni, perché conoscano la storia e capiscano da che parte dello Stato stare: dalla parte dello Stato onesto, giusto, che rifiuta e disprezza qualsiasi mafia e qualsiasi malaffare.

Significa vivere di valori sani, lavorare onestamente e dare il proprio servizio con rispetto alla nostra Repubblica, onorando ogni giorno chi con sacrificio, onore e resilienza difende la nostra sicurezza e la nostra libertà.

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