"Responsabilità, professionalità e cuore": il giornalismo secondo Massimiliano Menichetti

Massimiliano Menichetti 52 anni, è responsabile di Radio Vaticana - Vatican News e sarà tra gli ospiti della prossima edizione della Newsroom Academy su come diventare reporter condotta da Daniele Bellocchio

"Responsabilità, professionalità e cuore": il giornalismo secondo Massimiliano Menichetti

Massimiliano Menichetti 52 anni, è responsabile di Radio Vaticana - Vatican News e sarà tra gli ospiti del corso della Newsroom Academy "Diventa reporter ora" di Daniele Bellocchio. Con lui discutiamo dell'attività mediatica svolta dalle testate della Santa Sede, della loro proiezione globale e del metodo che seguono per coprire le notizie per loro maggiormente interessanti. Oltre a indicare quelli che, secondo Menichetti, sono i "ferri del mestiere" del giornalista e, in special modo, del reporter.

Con Radio Vaticana – Vatican News coprite un’ampia quantità di tematiche legate all’agenda internazionale. Quanto è importante la presenza sul campo dei media vaticani per la vostra informazione?

La presenza sul territorio è fondamentale per poter fornire un quadro autentico degli accadimenti, per verificare, per dar voce a chi spesso non ha questa possibilità, per cercare e diffondere storie che consentono di andare oltre un’informazione di primo livello, legata essenzialmente “all’effetto notizia”. Questo accade quando ad esempio si accende l’attenzione a causa di una tragedia, un fatto grave … quella diventa la notizia per un certo periodo di tempo, dopo “esce dai radar”, un esempio vicinissimo è la guerra in Siria: un conflitto che, cambiando forma, dura da 12 anni, ma quasi nessuno ne parla più. In questo contesto bisogna considerare anche l’importanza delle reti sociali, realtà straordinarie, in alcuni casi l’unica realtà che accende una luce dove nessun giornalista può arrivare, ma questo non può sostituire, appena è possibile, “l’essere sul campo”, pena il rischio di essere vittima di manipolazioni e artefici di distorsioni. Essere sul territorio, intessere relazioni, consente di non dimenticare, di continuare a seguire, non solo di informare, ma di essere parte di un processo che mette la professione giornalistica al servizio dell’uomo e non il giornalismo al servizio di altre dinamiche.

Comunicazione e network sono fondamentali per organizzare reportage e inchieste sul campo. Quanto è importante, per il vostro lavoro, il contatto in diverse aree del mondo con strutture e organizzazioni di matrice cattolica?

La nostra realtà nasce e si sviluppa con questa idea. Siamo i media della Santa Sede: ogni diocesi, parrocchia, radio, quotidiano, televisione, università, scuola di comunicazione o giornalismo, associazione d’ispirazione cattolica è parte potenziale della nostra rete, una rete in costante espansione. Una delle nostre missioni è costruire legami per mettere a fattor comune esperienze, sguardi, capacità. Costruiamo progetti multi-focus come in Brasile o in Etiopia, dove la congregazione degli Scalabriniani è attivissimo nell’accoglienza dei migranti. Loro fanno parte di un progetto che riqualifica, insieme ad altri soggetti, chi arriva da altre nazioni, quindi raccontiamo in sinergia progetti sociali veri e propri modelli di integrazione e sviluppo per aziende e Paesi. Raccontare queste storie significa mostrare il lato proattivo, produttivo, di crescita di un fenomeno che spesso, nella narrazione comune, viene rappresentato come meramente problematico. Questo è possibile grazie alla rete in cui si condividono strategie, missione e costi sviluppando modelli.

bellocchio

"DIVENTA REPORTER ORA" È IL CORSO DELLA NEWSROOM ACADEMY CON DANIELE BELLOCCHIO

Spesso avete modo di seguire il Papa o i principali esponenti delle gerarchie vaticane in diverse aree del mondo. Quali sono i viaggi che ricordi maggiormente come professionalmente rilevanti?

Ogni viaggio per quanto programmato ha una dimensione di sorpresa, stupore e complessità. Tutto è nell’occhio di chi guarda, nella consapevolezza di essere uno strumento al servizio di un altro. Il recente viaggio in Mongolia del Papa resterà nel mio cuore per le diversità culturali, per la testimonianza della piccola comunità cattolica, per le sfide che affronta questo popolo nomade che vive tra Russia e Cina: come il divario tra ricchi e poveri e il ruolo sullo scacchiere internazionale. Certamente uno dei viaggi per me più significativi è stato con Papa Francesco in Iraq nel marzo del 2021: un Paese devastato ancora oggi da centinaia di attentati, in cui la guerra, il terrorismo hanno scavato ferite profondissime, non solo visibili sui muri dei palazzi sventrati o crivellati dai mortai, ma nel cuore della gente. Quel viaggio, in cui il Santo Padre ha portato una luce di speranza enormemente apprezzata dagli iracheni, ha ribaltato il mio sguardo. In una Nazione in ginocchio, militarizzata, in cui i blindati si alternato ai carri armati e le strade sono presidiate dai militari in assetto da guerra, i bambini giocano tra le rovine e la polvere. Una bambina che guardavo, mentre il Papa visitava la devastazione di Mosul, camminando all’indietro sbatte contro la gamba di un militare con la cintura piena di bombe, l’elmetto con lenti infrarossi e occhiali scuri. Si guardano, lui la prende la solleva per le ascelle e si guardano per un istate prima di illuminarsi entrambi con un sorriso. In quell’immagine ho riletto l’Iraq, in cui le sfide sono enormi: economiche, politiche, sociali… Sono stato richiamato alla costruzione piuttosto che alla destrutturazione narrativa dei fatti. In quell’istantanea c’era ciò che doveva essere raccontato senza omissioni: la devastazione del Paese nelle macerie in cui i due erano, i militari a presidiare le strade, la speranza nel sorriso di una bambina: presente e futuro dell’Iraq.

Vi è capitato, in passato, di trovarvi in questi viaggi di fronte a situazioni di crisi come guerre, emergenze migratorie e via dicendo?

La nostra copertura informativa guarda al mondo intero, quindi purtroppo siamo presenti anche in territori feriti dalla brutalità dei conflitti o dal dramma di chi lascia ogni cosa per vivere. In Ucraina siamo andati diverse volte, sempre con il sostegno delle caritas o della Chiesa locale, o delle Chiese dei Paesi confinanti. Seguiamo molto da vicino i fenomeni migratori: nelle Americhe, nel Mediterraneo, la cosiddetta rotta balcanica, verso l’Australia… Siamo una realtà che complessivamente parla 51 lingue, tra scritto, audio e video, comprese due emissioni nella lingua dei segni in inglese ed italiano. La nostra comunità di lavoro è formata da giornalisti provenienti da 69 nazioni e la rete che costruiamo ci consente di allestire in breve tempo una presenza capillare quasi in tutto il mondo.

Con il vostro gruppo editoriale, inoltre, siete anticipatori di un modo articolato di intendere la multimedialità. Quanto un approccio che unisca diversi tipi di giornalismo può aiutare a costruire reportage efficaci?

L’informazione cambia continuamente: cambiano i linguaggi, cambiano le piattaforme, cambiano i fruitori, cambia la percezione dei contenuti. La multimedialità, in alcune aree del pianeta, è imprescindibile per realizzare una comunicazione efficace. I reportage si compongono di più elementi: visivi come le foto e i video, suoni, scrittura. Ogni elemento può essere gestito singolarmente e diventare un podcast, una video-gallery, un articolo o un racconto, ma se tutti gli elementi si combinano insieme conducono ad una realtà immersiva. La padronanza della multimedialità ideativa e compositiva non costituisce solo una tecnica strutturale, ma una forma narrativa vera e propria. Si tratta di un percorso che stiamo intraprendendo e ci sfida, ma senza dubbio è la forma che meglio descrive la realtà che stiamo presentando e condividendo. La nostra presenza sui diversi canali social è dettata anche da questo ed è costantemente in evoluzione. Ovviamente bisogna tenere presente mezzi e utenti. Basti pensare che a motivo della guerra in Europa abbiamo aumentato l’emissione delle onde corte verso l’Ucraina, per essere vicini alla popolazione. E che in alcune zone dell’Africa, Asia o Americhe, le onde corte sono l’unico modo per comunicare. Quindi il reportage, pensato multimedialmente pluripiattaforma, necessariamente dovrà essere preventivamente scritto prevedendo eventuali rielaborazioni delle acquisizioni di supporto.

L’inizio della Newsroom Academy si avvicina. Cosa trasmetterai agli alunni del corso nella lezione che ti vedrà intervenire?

Spero sarà un incontro, quindi l’auspicio è costruire insieme una relazione. Vorrei provare a guardare con gli occhi di chi parteciperà alla lezione e proporre anche altri punti di vista, certamente la tecnica ha rilevanza, ma è nulla senza il cuore. Il Papa nel Messaggio per la cinquantaduesima giornata delle Comunicazioni Sociali si è soffermato proprio sul “parlare con il cuore”. Un’azione che viene dopo l’andare, il vedere, l’ascoltare.

La responsabilità che abbiamo come comunicatori, come persone è costruire un mondo fraterno, in cui prevalga l’amicizia sociale e non lo scontro o logiche predatorie. Ciò che vorrei proporre è questo percorso in cui responsabilità, professionalità e cuore non siano disgiunti.

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