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Trieste, bimba di 8 anni portata via da scuola e inserita in comunità: la madre non la vede da mesi

La donna, a cui è stata sospesa la responsabilità genitoriale, non la vede da febbraio e denuncia un percorso giudiziario contraddittorio nato dopo la segnalazione di presunti abusi paterni poi archiviata

Trieste, bimba di 8 anni portata via da scuola e inserita in comunità: la madre non la vede da mesi
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Da febbraio una bambina triestina di otto anni vive in una comunità educativa della provincia di Udine, lontana dalla madre e dai fratelli più piccoli. La giornata in cui tutto è cambiato risale all’11 febbraio: gli operatori sono andati direttamente a prenderla a scuola, trasferendola poi in una struttura protetta. Da allora la madre non ha più potuto incontrarla di persona.

Un caso complesso

La vicenda si inserisce in un percorso giudiziario lungo e ancora aperto. La capacità genitoriale della donna è stata sospesa sulla base di relazioni dei servizi sociali, gli stessi che in passato avevano autorizzato incontri tra un’altra madre, paziente psichiatrica, e il piccolo Giovanni Trame, poi tragicamente ucciso durante una visita protetta. Un precedente che ha contribuito a sollevare interrogativi sulla gestione dei casi più delicati.

La denuncia della madre

La mamma racconta di essersi rivolta alla giustizia dopo che la figlia le avrebbe confidato episodi gravi che coinvolgerebbero il padre. La denuncia per presunti abusi è però stata archiviata: secondo il giudice, la bambina non era in grado di rendere una testimonianza utilizzabile. Nel provvedimento si sottolinea quanto sia difficile gestire processi per presunte violenze sessuali su minori molto piccoli, soprattutto in contesti familiari.

Le paure della donna

La donna riferisce che la bambina sarebbe nata da un rapporto non consenziente e che, nonostante le minacce dell’ex compagno, avrebbe deciso comunque di portare avanti la gravidanza. Dopo essersi allontanata da quell’uomo per proteggere la figlia, la mamma ha ricostruito una nuova famiglia. Racconta anche di non aver denunciato subito le presunte violenze per timore di non essere creduta: paura che, oggi, percepisce come confermata.

Le accuse rivolte alla mamma

Le contestazioni mosse alla donna riguardano, tra le altre cose, l’aver portato più volte la bambina al pronto soccorso per controlli considerati non necessari e l’aver screditato l’immagine del padre, circostanza che secondo gli atti giudiziari potrebbe aver influito sul rifiuto della piccola di vederlo.

La Cassazione, però, lo scorso luglio ha ricordato che anche quando viene accertato un ostacolo ai rapporti con un genitore, ogni provvedimento deve comunque tenere conto del possibile trauma derivante da un allontanamento brusco dal nucleo con cui il minore ha sempre vissuto.

Una figlia che chiede vicinanza

Da quasi nove mesi la donna non può vedere la figlia, con l’unica eccezione di una video chiamata di mezz’ora a fine settembre. Nessuna informazione su come stia, su come procedano la scuola o la vita quotidiana. La madre racconta che a settembre la bambina le aveva scritto una breve lettera piena di affetto, in cui ribadiva il legame con lei e con il resto della famiglia, escludendo però il padre. Dopo quella lettera, più nessun contatto.

L’intervento della politica

La vicenda è arrivata all’attenzione di otto senatori, tra cui Valeria Valente, componente della Commissione parlamentare d’inchiesta sui femminicidi e la violenza di genere.

In un’interrogazione al governo, i parlamentari contestano la prolungata permanenza della bambina nella struttura, ben oltre i tempi indicati inizialmente, e il trasferimento in un’altra provincia, in un contesto con minori più grandi e di differenti nazionalità. Una condizione che, secondo loro, contrasterebbe con i principi che dovrebbero garantire il superiore interesse del minore.

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