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’Ndrangheta, 20 arresti La procura: "Avevano messo le mani sulla Tav"

Appalti. Infiltrazioni anche nei cantieri autostradali della A4, nelle opere di scavo e nelle cooperative di facchinaggio

«Il sodalizio lombardo che ha portato alle venti ordinanze di custodia cautelare tra le province di Milano, Crotone, Catanzaro e Taranto, ha le stesse caratteristiche tradizionali di associazione mafiosa usate a Capo Rizzuto, in Calabria, dalle cosche dei Nicoscia, degli Arena e dei Barbaro. E soprattutto gli stessi metodi intimidatori. Usati in questo caso per infiltrarsi nel mondo economico, schiacciare la concorrenza e la clientela, e imporre la propria egemonia nel settore delle opere pubbliche relative alla realizzazione della Tav (la linea per i treni ad alta velocità) e del raddoppio della linea ferroviaria Milano-Venezia.

Tuttavia si comincia a notare uno dei primi tentativi, da parte di questi malavitosi di terza generazione, di rendersi autonomi rispetto alle cosche madri, tenendo gli affari locali lontano dalle faide locali, del meridione e diventando solidi imprenditori. E chissà che la quarta generazione non arrivi ad affrancarsi completamente dalla mafia per iniziare attività economiche del tutto legali. È una speranza». Sorride Manlio Minale, procuratore della Repubblica a Milano che però ha per anni diretto la Dda (Direzione distrettuale antimafia) parlando dell’operazione «Isola», condotta nel giro di due anni dal gruppo carabinieri di Monza e coordinata dal pm Mario Venditti della stessa Dda e dal gip che poi ha emesso le ordinanze, Caterina Interlandi, ai danni di 20 persone accusate a vario titolo di associazione a delinquere di stampo mafioso finalizzate all’estorsione, al tentato omicidio fino ad arrivare al porto abusivo di armi da sparo (compresi alcuni lanciarazzi). I tempi sono cambiati e si vede. Il clan della ’ndrangheta a cui appartenevano alcune delle persone arrestate dai militari la notte scorsa, era riuscito infatti a creare attorno a sé un alone permanente di intimidazione e imponeva agli operatori economici del settore delle opere pubbliche, nelle tratte dell’hinterland milanese e in Lombardia, l’assegnazione degli appalti per il movimento terra secondo il sistema e le regole di spartizione della ’ndrangheta.

Insomma, agli ordini di Marcello Paparo, classe 1964, capo dell’omonima ’ndrina (famiglia mafiosa) e alleato delle cosche dei Nicoscia, degli Arena e dei Barbaro, i malavitosi, attraverso una serie di società create ad hoc, avrebbero portato avanti una vera e propria intimidazione ambientale nel settore delle grandi opere pubbliche in Lombardia (in particolare nella realizzazione della quarta corsia dell’autostrada A4 e soprattutto negli appalti della Tav tra i territori di Pioltello, Pozzuolo Martesana e Melzo) sovrintendendo alla spartizione dei lavori nel settore tra le varie cosche operanti nella regione.

«Del resto ci sono fasce di interventi economici - spiega ancora Minale - come gli stessi lavori di facchinaggio, che sfuggono alla regolamentazione dei contratti d’appalto. Ed è lì che s’inserisce la ’ndrangheta - sottolinea ancora Minale - agendo ai limiti della legalità con la violenza contro la concorrenza e contro i clienti». Com’è accaduto con alcune cooperative di autotrasporti di Segrate e Brugherio che avevano avuto regolarmente l’incarico in subappalto per il movimento terra e dalle quali i malavitosi, naturalmente con i loro metodi, hanno ottenuto lo stesso incarico in subappalto.

Intanto il responsabile sicurezza del Pd, Marco Minniti, e il deputato lombardo, Vinicio Peluffo, mentre si complimentano con gli inquirenti per l’operazione «Isola», lanciano un allarme ben preciso: «Ribadiamo le nostre preoccupazioni, che sollevammo già a settembre del 2008, per il concreto rischio d’infiltrazione mafiosa per la gestione, il controllo degli appalti e

i contratti di Expo 2015». Anche Alberto Grancini, assessore provinciale alla Sicurezza e Polizia provinciale di Milano, chiede di passare al setaccio tutti gli appalti per la realizzazione delle grandi opere dell’Expo.

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