«Quando ci siamo trasferiti in una casa vera, mia madre era entusiasta perchè in cascina non c’era la corrente elettrica, nè l’acqua corrente; ci diceva che invece, dove saremmo andati a stare in città, c’era l’acqua in casa, il gas e anche la corrente elettrica... mi chiedevo se avremmo camminato in casa con l’acqua per terra». Quella del signor Otello Morandi è una delle centinaia di storie che compongono il «museo temporaneo» di San Giuliano milanese, un vero e proprio album di famiglia a cui partecipano dall’aprile scorso tutti i cittadini chiamati a documentare la memoria collettiva della comunità. Il progetto, intitolato «Foresta nascosta», è promosso dalla Provincia di Milano e nasce da un’idea del fotografo Matteo Balduzzi, del sociologo Daniele Cologna e del ricercatore Stefano Laffi. Il museo temporaneo fa bella mostra in due container colorati che stazionano in un quartiere del comune dell’hinterland, e che espongono lettere, storie e fotografie raccolte dagli abitanti. «La scelta di San Giuliano -spiegano gli organizzatori- è puramente simbolica di quelle realtà urbane della provincia milanese poco servite culturalmente e di cui si vuole tracciare un’identità. Ma -precisano- al di là del taglio scientifico si tratta di un progetto di arte pubblica».
L’identità di San Giuliano, che Marc Augè potrebbe facilmente annoverare tra i famigerati non-luoghi, è a dir poco frastagliata e per tirarne le fila i tre curatori l’hanno suddivisa in cinque tappe, ognuna corrispondente ad una fase storica del comune sviluppatosi sessant’anni orsono. Alla prima fase, che ha avuto luogo tra aprile e luglio nel centro storico dove negli anni ’50 ha avuto inizio la crescita del paese, hanno collaborato gli abitanti che hanno vissuto -anche indirettamente- il processo di inurbazione dalle campagne. Al museo, che per la promozione si avvale di affissioni stradali, media-partner locali e una decina di giovani intervistatori, sono pervenute quasi un migliaio di fotografie di famiglia che raccontano in maniera eloquente quegli anni difficili ma anche sorprendenti. Ecco una foto inviata da Luigi Fontana che raffigura un gruppo di salariati con i forconi in mano che manifestano in città, oppure quella di Santina Ciocca che mostra sua madre al lavoro con le mondine in una risaia, o ancora Idalia Ferrari con un gruppo di amici arrivati da Milano per fare il bagno nel Lambro. Le storie, in parte inviate per lettera, in parte raccolte durante le interviste, testimoniano il passaggio di un’epoca. «Siamo arrivati a San Giuliano da Chiaravalle con un calesse tirato da un cavallo -si legge in una delle tante storie- sette figli più il papà e la mamma, un biroch pien de fioèuli, siamo venuti ad abitare in una cascina che si trovava dove adesso c’è via Trieste. Lì avevamo tutto l’essenziale, anche una ghiacciaia: una buca enorme».
Attualmente è in corso la seconda fase del progetto che ha avuto inizio il 19 settembre fino al 7 dicembre. I due container si sono spostati nel quartiere Serenella, costruito nel 1964 per ospitare l’immigrazione che dal sud veniva a lavorare nelle fabbriche e che è anche il simbolo del boom economico ed edilizio degli anni Sessanta. «Ogni quartiere -spiegano i curatori- rappresenta uno strato identitario della storia di San Giuliano. A fine anno il museo si sposterà nel quartiere Villaggio, creato negli anni ’70 e composto di villette monofamiliari dove andarono ad abitare i primi quadri intermedi». Le ultime due fasi riguardano la storia recente che accumanano San Giuliano a numerosi comuni dell’hinterland non solo lombardo.
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