Cultura e Spettacoli

Nel Prado fiorisce la grande pittura

Inaugurato da Ferdinando VII il 17 novembre 1819, comprendeva 311 dipinti. Oggi sono migliaia

Las meninas: Diego Velázquez, 1656. Un quadro senza tempo, il vertice della pittura europea. Un gioco sottile di luce e rimandi, in quella stanza reale della Spagna del ’600. Il pittore coi baffetti di fronte ad una grande tela sta ritraendo Filippo IV e Marianna di Spagna, non visibili ma riflessi nello specchio sullo sfondo. La loro piccola Margherita, dai capelli d’oro, sta al centro, rigida come una bambola, affiancata da due damigelle (Las meninas). A destra ci sono i due nani di corte, Maribárbola e Nicolás di Pertusato, che dà un calcio a un grosso cane. E, sullo sfondo, una porta che si apre e un uomo che s’affaccia: José Nieto Velázquez, arazziere della regina. Sulle pareti, quadri. Tutto ci riporta nell’atelier di corte del più grande pittore spagnolo.
Il capolavoro è una delle grandi attrazioni del Museo del Prado di Madrid, ricchissimo di opere d’arte. Migliaia di dipinti raccolti dai sovrani di Spagna. Il suo nome «Prado», deriva dal «prato», che stava davanti alla chiesa e al monastero di San Jeronimos, a Est della città, dove il re di Spagna Carlo III di Borbone, a metà Settecento, aveva deciso di far costruire alcuni edifici da destinare al «progresso della scienza». Fu però Ferdinando VII, il 17 novembre 1819, a inaugurare in quel luogo il nuovo «Museo Real de la Pintura», che comprendeva le opere d’arte delle collezioni reali sparse in castelli, palazzi e monasteri. I dipinti erano trecentoundici, oggi sono migliaia, di alta qualità. Rappresentano tutte le scuole europee dal XV al XVIII secolo: spagnola, italiana, fiamminga ed altre, ad eccezione della inglese, meno amata. Ai dipinti si aggiungono disegni, incisioni, mobili, monete, medaglie, oreficerie.
Ciascun sovrano ha raccolto le opere secondo i propri gusti, ed anche in relazione ai rapporti politici ed economici con altri Paesi europei. Isabella la Cattolica, ad esempio, era affascinata dai dipinti fiamminghi. Carlo V era amico e ammiratore di Tiziano, fino a farsi mettere ai piedi del letto un suo dipinto prima di esalare l’ultimo respiro. Filippo IV, il più grande collezionista della famiglia reale, si procurò alla morte di Rubens diciotto dipinti del maestro, e nel 1654, all’asta dei quadri dell’appena giustiziato Carlo I d’Inghilterra, I funerali della Vergine di Mantegna, la Sacra Famiglia di Raffaello, l’Autoritratto di Dürer, opere di Tiziano, Tintoretto, Veronese. Accolse a corte come primo pittore Velázquez, cui commissionò i ritratti della famiglia reale, e capolavori come La Resa di Breda, Las meninas e La favola di Aracne. E, grazie ai viaggi del pittore in Italia, giunsero a Madrid numerosi dipinti del Cinquecento italiano, compresi il Baccanale e L’offerta a Venere di Tiziano. Allo scoccare del Settecento la pinacoteca spagnola contava quasi seimila dipinti, che divennero ancora di più con Filippo V, Carlo III, Carlo IV ed altri sovrani spagnoli.
Oggi, una visita al Prado lascia a bocca aperta: da Rogier van der Weyden ad Antonello da Messina, da Bosch a El Greco, da Velázquez a Raffaello, da Tiziano a Murillo, è da capogiro, anzi da sindrome di Stendhal.


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