«Nel Sex and the City all’italiana sacrifico l’amore per la carriera»

«Per Pupi Avati divento una pianista simbolo di erotismo»

da Roma

Fiorente di gioventù, nell’insopprimibile insolenza della sua bellezza napoletana, Luisa Ranieri è la pianista del cinema italiano. E non soltanto perché Pupi Avati, l’infaticabile regista che monta e smonta pellicole come un carrozziere della Magliana auto rubate, ritaglia per lei il ruolo dell’insegnante di piano sexy dentro all’erigendo film Nel tepore del ballo (con Laura Chiatti come prostituta, in una Bologna anni Cinquanta, dove si aggirano Diego Abatantuono e Luigi Lo Cascio), ma anche perché possiede una certa facilità a suonare più tasti, passando dall’impegno di Antonioni (Eros: il filo pericoloso delle cose, 2004) alla leggerezza televisiva di Amiche mie, la fiction di Canale 5 che vedremo a ottobre e sulla quale gravano curiosità e aspettative. La gente ha cominciato a notare Luisa come accaldata sciantosa d’uno spot, in cui marcava visita col tormentone («Anto’, fa caaaaaldo»), fissandola poi nella memoria al fianco di Celentano, in Rockpolitik, dove semplicemente incedeva, negli occhi lo stesso bagliore verde dell’abito da sirena. Ma adesso che nei governi del mondo dilagano seducenti ministre anche credibili; ora che il nostro star system applica la lezione americana (presenza+talento al quadrato) e impiega attrici come lei, al di là del fisico, fare il punto si può, senza complessi, dopo l’esordio con Pieraccioni (Il principe e il pirata, 2001), le miniserie per Canale 5 (Callas e Onassis, ’O professore), il videoclip con Biagio Antonacci, la pubblicità e un film da girare in Francia («Non ho ancora firmato e per scaramanzia, mi taccio», annuncia napoletanamente). Intanto, a Milano ha finito le riprese di Amiche mie, stesso titolo d’un filmetto anni Ottanta, con Nadia Cassini: un quarto di Desperate Housewives in versione chic-meneghina (Rita Rusic ha messo lo zampino nella sceneggiatura di Cristiana Farina, firmataria di Vivere e Centovetrine) e un’abbondante dose di Sex and the City all’italiana, mescolate con cura, oltre che dalla Ranieri, da Elena Sofia Ricci, Margherita Buy e Cecilia Dazzi, sotto la regia di Luca Miniero e Pasquale Genovese, gli stessi di Questa notte è ancora nostra, commedia giovanile di successo.
Cara Luisa Ranieri, partiamo dal suo ruolo nella fiction più attesa, dopo l’estate: ci anticipa i dettagli del prodotto Endemol in odore di serialità?
«Se lo faccio, le mie amiche mi ammazzano! Penseranno che mi do delle arie, che parlo con la stampa, mentre loro tacciono!».
E che amiche sono, allora?
«Professioniste fantastiche! Non lo dico per piaggeria, giuro, come si fa di solito. Con Margherita, Elena e Cecilia, invece, ci siamo divertite pazzamente».
D’accordo. Che ruolo fa?
«Sono Marta, la più giovane di questo consolidato giro di quarantenni, che non si arrendono mai: vestiamo griffato e abitiamo a Milano, nello stesso condominio di Corso Como, in quelle villette a schiera così di moda. Ho trentatrè anni, faccio la giornalista televisiva, tendenza anchorwoman, e appaio estremamente complessa. Oltre che ambiziosa e nevrotica. E pronta a tutto: pur di arrivare, sacrifico la mia storia di coppia».
Ha qualche tratto di somiglianza con Marta?
«Forse nell’essere un po’ fragile. Sono tutt’altro che arrivista. Direi, piuttosto solare e vulcanica, partenopea doc come Luca Miniero. La mia impulsività, a volte, è comunque troppa».
Come s’è trovata a lavorare con due registi?
«Ognuno gira le sue puntate e l’alternanza è una scuola, per noi attori. Miniero ha grande ritmo ed è spiritoso. Genovese ha la tipica indolenza romana e dà fiducia».
Marta, Francesca, Grazia e Anna: chi sposata, chi divorziata, chi in cerca, comunque singole. Parlano di sesso, come nella serie americana Sex and the City, sebbene i dialoghi italiani fossero all’acqua di rose, rispetto all’edizione Usa?
«Parliamo di sentimenti e anche di sesso. Ne dialoghiamo spesso con un certo Dottor G., l’affascinante ginecologo che è la nostra figura maschile di riferimento, ossia Guido Caprino, seduzione e talento da vendere».
Ormai il cinema si vede in tivù. E con Pupi Avati, che fa cinema-cinema, com’è andata?
«Preferisco il cinema, alla tivù, macchina da guerra con ritmi più compressi. Pupi? Finalmente un regista galante, all’antica, che ti fa sentire protetta. E ama il femminile in sé, cosa rara oggi.

Per me ha scritto il ruolo di Mimmy, maestra di piano senza età, ammirata da tutti, pura metafora dell’erotismo avatiano. Un personaggio di fantasia, nato dai ricordi del regista. Vivo a Bologna ed ho un allievo molto anziano, Enzo Gravina, che prende lezioni soltanto per sedersi accanto a me, davanti al pianoforte».

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