di Angelo Sarto
Ha le mani ruvide e callose, rovinate dal lavoro, come quelle del cognato Michele, che a differenza delle sue, sono state inquadrate ormai mille volte dalle telecamere. Ha il volto scavato da un dolore immenso per quello scricciolo di figlia che credeva si fosse allontanata da casa e che invece era morta assassinata per mano dei suoi parenti. Ha un grande rimorso per non essere uscito a salutarla, quell’afoso primo pomeriggio del 26 agosto, vedendola così allontanarsi per l’ultima volta da casa. Avrebbe voluto accompagnarla con lo sguardo dal balcone, come faceva di solito, magari raccomandandole di non far tardi.
Nella tragica vicenda del delitto di Sara Scazzi c’è un grande assente, ed è il padre della vittima, Giacomo, muratore, nato ad Avetrana 56 anni fa, in perenne trasferta a Milano. Coinvolto fino al midollo – e come avrebbe potuto accadere diversamente? – nel dramma che ha sconvolto la vita sua, quella della moglie Concetta Serrano, quella del figlio Claudio. Assente, invece, da quello che i commentatori chiamano «circo mediatico». Poche, pochissime interviste. Poche le immagini che lo ritraggono, con la stessa smorfia di dolore, con quello sguardo ancora incapace di accettare l’abisso di futile violenza che ha stroncato la vita della figlia. Poche le sue parole, pronunciate quasi sempre a fatica.
Giacomo Scazzi è il padre non protagonista. È il papà di sara. Il muratore costretto a trasferirsi al Nord per tirare la carretta, dopo aver perso il posto all’Iltalsider di Taranto. L’emigrante che la lasciato le donne di famiglia al paese, per immergersi nella nebbia dell’hinterland milanese. E lavorare, lavorare, lavorare. Così lontano da Avetrana e dagli affetti familiari, da apprendere della scomparsa della figlia mentre stava mangiando un panino in un bar, e da accorgersi per caso dell’appello della moglie a «Chi l’ha visto?». Non ha partecipato alle trasmissioni, alle dirette Tv dedicate alla ricerca della figlia. Quella figlia inghiottita nel ventre buio dell’odio, uccisa in un garage. Per settimane l’unico volto televisivo della famiglia Scazzi è stata la moglie Concetta. Giacomo, nonostante della figlia non vi fosse ancora traccia, a un mese dalla scomparsa, aveva dovuto riprendere la strada per Milano. «Altrimenti perdo il lavoro», aveva detto. Se n’era andato lontano da quell’ambiente familiare, ignaro che proprio lì, a pochi passi dalla sua casa, nella villetta del cognato, Sara aveva vissuto gli ultimi istanti della sua giovane vita. Non sospettava nulla, Giacomo. Aveva un buon rapporto con Michele. Si erano visti qualche giorno dopo la scomparsa di Sara, al funerale del suocero. Si erano salutati, come sempre. Due uomini con le mani callose, abituati a parlare pochissimo e a faticare molto.
Era tornato a Milano, con un macigno nel cuore, ad aspettare di essere chiamato nei cantieri, perché papà Scazzi non poteva permettersi troppe vacanze. Aveva visto in Tv Michele Misseri che teneva in mano il telefonino di sara. E aveva ripensato a un altro telefonino, il suo, e a quello scambio di battute piuttosto teso con la figlia. Nei giorni precedenti alla scomparsa, Sara aveva scoperto la foto di una ragazzina sul cellulare del padre. Lei gli aveva detto: «Ma a Milano hai un’altra figlia?». Era uno scherzo, ma Giacomo non l’aveva presa bene. Aveva detto che quel telefonino lui l’aveva comprato di seconda mano e che la foto doveva averla memorizzata il precedente proprietario. Era vero, hanno accertato gli inquirenti. Non c’erano figlie segrete o seconde famiglie, per il muratore che faceva fatica a mantenere anche la prima. Poi, Sabrina, la nipote presunta assassina, aveva cercato di tirarlo in ballo per allontanare i sospetti casa Misseri. Aveva detto che Giacomo allungava le mani sulle donne, che aveva un passato burrascoso. Sospetti, illazioni, vani tentativi di sviare le indagini. Eppure, in fondo, anche come sospettato, papà Scazzi è stato assente. Dato che nessuno ha mai creduto davvero che avesse qualcosa a che fare con la scomparsa della figlia.
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