«Nella mia comunità per salvare l’anima da tutte le dipendenze»

«Nella mia comunità per salvare l’anima da tutte le dipendenze»

Si chiama don Chino Pezzoli, ma nei suoi 76 anni non ha mai chinato né capo, né ginocchia sotto lo zaino della vita. Tutt’altro. Si è caricato in spalla il fardello di parecchie vite afflitte per le stangate delle droghe, dell’alcool, dell’etere-dipendenza - l’ossessione di videogiochi e internet - ed è salito sulla vetta del cuore, come sulla cima della Presolana, il massiccio bergamasco delle Alpi dove la purezza è meta e inizio. La roccia tersa di quelle altezze è lo sfondo della copertina del suo libro Cime di libertà, scritto con il giornalista Giuseppe Zois e presentato ieri nella tensostruttura dell’hotel Crowne Plaza di San Donato Milanese, per il trentesimo compleanno di «Promozione Umana», la comunità di cui don Chino è fondatore.
Cos’è la libertà? «Vivere della pienezza di se stessi in mezzo agli altri - racconta il sacerdote -. E’ la relazione con il prossimo che ci rende liberi. Oggi, invece, siamo convinti che la libertà sia il solipsismo in cui ci lasciamo consumare da sostanze, come alcolici, eroina, cocaina, che creano l’ebrezza istantanea di una falsa autonomia, per poi abbatterti in una depressione che sempre più sovente, purtroppo, porta al suicidio. Tra i giovani in modo particolare».
Più di cinquecento persone, dai diciasette ai quarantacinque anni, vivono nelle strutture di «Promozione Umana», impiantate soprattutto in Lombardia e Sardegna, ma condensate anche nei centri d’accoglienza tra Trento, Torino, Roma. Don Chino non esita a spezzare un pensiero ormai consunto che vede nelle droghe il fantasma nero della modernità, quando invece ghermiscono più subdolamente l’alcool e la nuova schiavitù: la videodipendenza. «Quest’ultima porta a una sgretolante fragilità psicologica. E’ una patologia dell’anima. Attraverso quattro livelli di recupero cerchiamo di far fronte alla paura di vite fragili come il vetro: l’accoglienza, l’inserimento nella struttura terapeutica, la ricompatezza del principio di responsabilità, il ritorno nell’ambiente familiare-lavorativo».
Vetro e roccia. I due confini dell’essere. L’uno. Una falsa sensazione di superpotenza che conduce la psiche a una trasparenza virtuale: appena la tocchi cede e va in frantumi. La seconda fondata sulle sicurezze che vengono dall’amore per se stessi, illuminato dall’amore per gli altri. «L’ultima parte del libro è un vero e proprio alfabeto del bene dalla A alla Z. Ogni lettera ha una sua porala chiave, che scardina le finte porte di cretinismo psicologico dietro cui ci barrichiamo quando cadiamo vittime del bicchiere o di una sostanza. I giovani bevono troppo, dalla birra ai superalcolici, e alterano il loro equilibrio neurologico. L’Italia è il paese con la più alta percentuale di etilisti adolescenti».
Per un’intera giornata, ieri, la grande comunità di coloro che hanno ripreso in mano la salda «picozza» della vita ha festeggiato la vetta raggiunta dell’autodeterminazione di sentirsi uomini e donne. «Queste ultime, purtroppo, hanno aumentato la presenza nella nostra comunità - conclude il sacerdote -. Come si sono incrementate le presenze di extracomunitari, sia musulmani che buddisti».

Nella comunità di don Chino la messa è diventata un rito di preghiera comune a una multietnia che prega un Dio difficile da raggiungere, là sulla cima della vita: un’umanità candida dai riflessi divini, salda come la vetta della Presolana.

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