Gianni Pennacchi
da Roma
I ragionieri della politica hanno contato 31 applausi, più o meno tiepidi, più o meno condivisi. Il cronista però, è rimasto colpito dal gran sospiro di sollievo, un ooooh! lungo e corale che sè levato dai banchi del centrodestra, un sottinteso ma esplicito «era ora che tu lo dicessi», allorché Giorgio Napolitano ha pronunciato la fatidica promessa: «Non sarò in alcun momento il Presidente solo della maggioranza che mi ha eletto». In verità al nuovo capo dello Stato che ieri ha giurato appunto nellaula di Montecitorio davanti ai mille e passa Grandi Elettori che avevano partecipato agli scrutini dei giorni scorsi, gli ci son voluti 40 minuti di discorso, per giungere a quel passo tanto atteso e quindi alla subitanea conclusione col «viva il Parlamento, viva la Repubblica, viva lItalia» salutata da un corale applauso (il 31° si presume) con tutti in piedi soddisfatti, forse anche per la fine della cerimonia.
Cerimonia che definire esaltante sarebbe davvero esagerato. Anche la partecipazione popolare, sulla piazza di Montecitorio e poi sul Corso, allAltare della Patria e quindi lungo la strada sino al Quirinale, è stata scarsa. Applausi per tutti, per Napolitano e per Silvio Berlusconi che lo accompagnava nel giro rituale, anche per il sindaco Walter Veltroni che sè concesso un pistolotto in diretta tv (lui è ancora in campagna elettorale) dopo lomaggio al milite ignoto. Però dietro le transenne fatte disporre lungo il tragitto del corteo presidenziale, non cera nessuno. Un duecento persone sullingresso del Parlamento, altrettante a Piazza Venezia compresi i turisti stranieri, poco meno davanti ai cavalloni e allobelisco del Quirinale. Ma sapete come son fatti i romani, ne hanno viste tante, e un incoraggiamento non si nega a nessun nuovo arrivato. La vera e gioiosa festa sè vista dopo al chiuso, nel salone dei corazzieri, con tutti gli uomini della politica - da destra a sinistra, in par condicio - sorridenti ad abbracciarsi e complimentarsi, dopo aver consumato il rito settennale e più solenne che ribadisce la sacralità delle istituzioni. Il deputato forzista Enrico Costa, proseguendo la battaglia del padre Raffaele, auspica che con questo settennato cada la «incomprensibile barriera di segretezza che da sempre protegge i bilanci del Quirinale». Per ora, bisogna accontentarsi della sacralità.
Oggi comunque si torna alla politica, Napolitano dà il via alle consultazioni alle 10 col presidente del Senato Franco Marini e le chiuderà alle 18.30 col suo predecessore, ormai senatore a vita Carlo Azeglio Ciampi. Per la prima volta, saranno «consultati» i capi delle due coalizioni, Silvio Berlusconi e Romano Prodi. Lincarico a questultimo di formare il nuovo governo si potrebbe avere già stasera, ma poiché «né di Venere né di Marte...» nonostante la sacralità laica, è più probabile domani.
E ripartiamo dalla solenne cerimonia, coi tocchi del campanone di Montecitorio che alle 16.45 annunciavano la messa in marcia dallabitazione in via dei Serpenti (che lascerà per trasferirsi al Quirinale) del neo Presidente che aveva già inviato il suo primo telegramma di cordoglio - «partecipo commosso al dolore» - per la scomparsa di Giancarlo Matteotti, ultimo figlio del martire. Quando è giunto ad attraversare il Transatlantico, in mezzo a Marini e Fausto Bertinotti, sembrava la processione di tre santi muti e increduli. Notati tra gli ospiti la nuova first lady Clio Napolitano, il rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni, un prelato con fascia e zucchetto porpora, e Abdellah Redouane, direttore della moschea romana. Alle 17.05 in punto Bertinotti ha invitato Napolitano a giurare, «a norma dellarticolo 91 della Costituzione». Quello non si è fatto pregare e sobriamente ha recitato la formula di rito: «Giuro di essere fedele alla Repubblica e di osservare lealmente la Costituzione». Hanno applaudito brevemente tutti, anche Berlusconi, ma non sapremmo dire se era il primo applauso o quello zero.
E veniamo dunque agli applausi. Il più sofferto sè avuto per il saluto alle Forze armate, aperto solitario dal ministro Antonio Martino che però ha insistito sino a trascinarsi dietro tutti i banchi. Il più forte e prolungato, tutti in piedi ad applaudire da sinistra a destra passando per i banchi del governo, per lomaggio «a tutti i nostri caduti».
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