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Netanyahu gela Obama: secco no di Israele a uno Stato palestinese

Il premier di Gerusalemme: "Per gli arabi solo autogoverno". Il presidente Usa: "Continuiamo il dialogo con Teheran". La Casa Bianca: "Congelare gli insediamenti in Cisgiordania"

Netanyahu gela Obama:  
secco no di Israele  
a uno Stato palestinese

Quando si sono incontrati lo scorso anno, erano tutti sorrisi e l'incontro era scivolato in maniera piacevole. Ma allora, né Benjamin Netanyahu né Barack Obama guidavano i propri Stati e il rilancio dei piani di pace in Medio Oriente non passava quasi esclusivamente per le loro mani. Ieri, alla prima visita ufficiale del premier israeliano alla Casa Bianca, il meeting è stato ugualmente cordiale, ma le posizioni dei due leader non si sono - almeno per ora - incontrate.

I temi più caldi sono due: la cosiddetta «soluzione dei due Stati» e il dossier iraniano. E se la prima cosa che Obama ha detto dopo ore di estenuanti faccia a faccia è stata che «solo con due Stati ci sarà la pace fra i due popoli», Netanyahu ha preferito parlare di «autogoverno», ma dicendo chiaramente «no ad uno Stato palestinese». E se il premier israeliano puntava a fissare un termine temporale per la linea del dialogo con Teheran (tre mesi secondo le indiscrezioni, una scadenza condivisa anche dall'inviato americano per il Medio Oriente Dennis Ross), il Presidente americano ha nicchiato e non ha fissato alcuna data ultima, facendo intendere di puntare forte sul dialogo e su un approccio soft, ma puntando comunque a «risultati entro l'anno». Differenze significative, che non sarà semplice appianare nonostante la relazione che ha sempre legato Washington allo Stato ebraico e di cui nessuno dei due può fare a meno. Sul tavolo, ovviamente, ci sono molte altre questioni, per esempio il futuro degli insediamenti dei coloni in Cisgiordania; e se proprio ieri è arrivata la notizia di un appalto per la costruzione di una nuova enclave, Obama ha tuonato dicendo che i progetti «devono essere congelati».

Insomma, quella che Netanyahu aveva definito «la missione della sua vita» in un'intervista al quotidiano Maariv non sembra aver portato, almeno nell'immediato, un’intesa con il grande fratello Usa. Lo spazio di manovra del premier israeliano, stretto fra un governo di coalizione eterogeneo e favorevole a una linea dura e la volontà di Obama di imprimere al processo di pace un'accelerazione basata sul dialogo, è limitato e l'incontro sembra aver confermato i timori della stampa di Gerusalemme, scettica sulla possibilità di un accordo.
Nello Studio Ovale Obama ha richiamato alla memoria di Netanyahu gli impegni presi dai precedenti governi, mentre il capo del governo israeliano ha nicchiato. E se per l'ex senatore dell'Illinois la soluzione del problema palestinese è un punto chiave per migliorare i rapporti con il mondo islamico, per il leader del Likud dare pubblicamente il via libera alla formazione di uno Stato palestinese significherebbe sostanzialmente vedere la propria maggioranza sgretolarsi dopo poche settimane. A meno, ovviamente, di non portare a casa qualche sostanziosa contropartita. Ma anche sull'Iran - l'altro grande dossier sul tavolo - le visioni divergono: per Obama arrivare alla sovranità totale per la Palestina smorzerebbe i problemi con Teheran, per «Bibi il falco» invece spingerebbe soltanto Ahmadinejad (o chi gli succederà eventualmente dopo le presidenziali di giugno) a esercitare ancora più pressione attraverso Hezbollah ed Hamas. A meno che, ma gli spiragli sembrano minimi, gli Stati arabi non riconoscano Israele e la sua natura ebraica. «In questo caso - ha detto Netanyahu a margine del meeting - siamo pronti a riprendere i colloqui di pace con i palestinesi».

«E questa - gli ha fatto eco Obama - è un'occasione che entrambi dovreste cogliere».

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