Di Nicola, procuratore nella bufera

Anna Maria Greco

da Roma
Impulsivo, irruento, sanguigno. Lo descrivono così il procuratore capo Enrico Di Nicola: un magistrato che ha una visione «sacerdotale» della sua professione ed è convinto che chi indossa la toga ha una missione «morale», si deve impegnare nella società e uscire dall’«Empireo» per raddrizzare le cose che non vanno, brandendo la Costituzione.
A Bologna arriva nella primavera del 2002, dopo un ricorso al Consiglio di Stato contro la nomina del Csm di Giancarlo Tarquini, collega della Procura di Brescia. Informa subito che ha già messo sotto inchiesta due Procuratori generali, tanto per chiarire che non guarda in faccia a nessuno. È stato ucciso da poco Marco Biagi e lui si tiene stretta l’inchiesta, stavolta con un ricorso in Cassazione contro la procura di Roma che la vuole solo per sé. Sulla scorta al giuslavorista polemizza anche con la famiglia che lancia le sue accuse alle istituzioni.
Di Nicola viene dall’Abruzzo, dove è nato a Teramo 71 anni fa e dal ’91 è stato procuratore capo a Pescara, dove nel ’93 ha messo sotto processo sindaco e assessori. Ci tiene a concludere la carriera nella dotta e rossa Bologna, lui che è tra i fondatori del Movimento per la giustizia, corrente di sinistra delle toghe stretta alleata di Magistratura democratica. Con il sindaco Cdl Giorgio Guazzaloca non c’è grande feeling, ma quando nel 2004 arriva Sergio Cofferati cambia l’aria radicalmente. La «battaglia per la legalità» lanciata dal Cinese lo entusiasma e per seguirlo a ruota incorre in qualche infortunio. A maggio fa arrestare 3 no global per l’occupazione di una casa, accusandoli anche di eversione. Lo contestano in corteo, accusandolo di «sinergia» col sindaco. Poi, il Tribunale del riesame lo sconfessa facendo uscire i tre, ma lui ha comunque l’occasione per ripetere più volte «sto con Cofferati».
Nelle occasioni ufficiali come nei salotti, nelle interviste come nelle chiacchierate tra amici il corpulento e impetuoso Di Nicola non nasconde certo la sua insofferenza per il centrodestra e per il governo. La riforma Castelli lo fa scatenare come il drappo rosso davanti al toro. «È una legge pericolosa - s’infervora -, che non ha nulla di buono. È necessario alzare la voce e non adagiarsi. Vogliono ridurci a strumento e il ministro potrà nominare chi gli è più gradito, perché il parere del Csm non sarà più vincolante».
Lui, Di Nicola, la voce l’alza spesso contro la gerarchizzazione delle procure, la separazione delle funzioni tra pm e giudice, i concorsi. Già nel 2003, ad una cerimonia per la strage di Marzabotto, va a stringere la mano all’ex presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, che si è appena vantato di essere stato magistrato e di voler difendere la Costituzione dagli attacchi del governo. «Ha visto - gli dice, con rabbia malcelata - ? Per il presidente Berlusconi siamo tutti mentalmente disturbati e con turbe psichiche!». Il Cavaliere non gli piace proprio, come dimostra la frase pronunciata per lo stupro della quindicenne.

Che ha un precedente. «In un Paese dove la ricchezza sommersa è pari al 30 per cento del prodotto interno lordo - dice in un’intervista del dicembre 2004 -, una magistratura che fa il proprio dovere e può ripristinare la legalità fa paura».

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