MilanoNon era vero. La mamma non picchiava il figlioletto con un bastone. La mamma non lo lasciava andare in giro sporco come un animale selvatico. La mamma, e men che meno le zie e i nonni, non gli facevano bere vino come un avvinazzato. Un cognome che ha fatto grande lItalia, quello dei Guareschi, era stato sporcato come uno straccio passato nelle peggiori accuse che un papà può muovere alla mamma di suo figlio. Le autorità svizzere hanno indagato a lungo e con scrupolo e la conclusione è una sola: Andrea (il nome è di fantasia) deve tornare dalla mamma. I lividi, ma sarebbe più corretto dire le ecchimosi visibili sulle sue gambe, erano il frutto delle corse spericolate che per tutti i bambini di 4-5 anni sono il carburante della crescita. «Le valutazioni fatte - si legge nel verdetto - non hanno rilevato alcun elemento che potesse anche solo far sospettare atti di violenza e abusi nei confronti del piccolo».
Tre anni di carte bollate, il povero Andrea conteso sullasse Parma-Canton Ticino, il Tribunale dei minori di Bologna contro la Commissione tutoria di Agno (Lugano). Una crisi diplomatica sfiorata perché i giudici italiani avevano sposato le tesi del padre, gli svizzeri quelle della madre. Ora Agno taglia il nodo e ordina che il piccolo Andrea torni in Svizzera, a Cademario dove il grande Giovannino Guareschi, il papà di Don Camillo, aveva messo su casa e dove vive la nipote Giovanna.
Giovanna, insegnante di inglese, e il papà di Andrea, un agricoltore della Bassa residente non lontano da Roncole Verdi e dai luoghi cari a Giovannino, si sposano col solo rito religioso nel 2001. Lunione naufraga rapidamente. Andrea nasce nel settembre 2003 a Lugano: è cittadino svizzero e anche italiano e vive con la mamma nel Canton Ticino. Poi il padre comincia a rovesciare sulla donna accuse su accuse: è violenta, è cattiva, è squilibrata. In pratica, Andrea sarebbe solo un piccolo ostaggio nelle sue mani, e dovrebbe esserle tolto al più presto. La svolta arriva nellaprile 2006: al termine della visita canonica al figlio, in territorio italiano, il padre non lo riconsegna alla mamma ma lo tiene con sé corredando di denunce ed esposti il suo blitz. I giudici italiani legittimano la sua mossa e ratificano quel che è successo: una sfida alle norme stabilite dalla Svizzera. Andrea resta col padre.
Ora, il nuovo capovolgimento, firmato dalla Commissione tutoria di Agno. «Nella sostanza - scrive la Commissione - si deve rilevare che non sono emersi elementi di riscontro alla denuncia del padre e pertanto non sia possibile ritenere che effettivamente il bambino sia stato oggetto di maltrattamenti da parte della madre o dei suoi familiari». Ma cè di più: «Liter procedurale - prosegue la Commissione - che ha portato allaffido temporaneo del bambino al padre, parte dalle ripetute segnalazioni del padre stesso a diversi operatori, quali la polizia, il pediatra, lospedale, i servizi sociali, tutte legate alle fotografie scattate nellestate del 2005, già vagliate dalle autorità e servizi elvetici, e dalle ecchimosi riscontrate sulle gambe del bambino. I vari intervenienti hanno in seguito rafforzato le proprie convinzioni sulla falsa impressione che le fonti fossero innumerevoli, indipendenti e concordi nel rilevare labuso, quando in realtà lunica fonte è il ripetitivo e incalzante racconto del padre riportato sistematicamente nei diversi rapporti poi indirizzati allautorità preposta ad adottare le misere di protezione urgenti». Il periodare è un po faticoso, ma il contenuto è chiaro: il carosello delle istituzioni intervenute poggiava solo sulle foto scattate dal papà e su quelle ecchimosi. Nientaltro. Anche se quelle immagini e quei piccoli lividi sono stati sufficienti per ribaltare la vita del piccolo, per spezzare il suo legame con la mamma, per dare il via al braccio di ferro fra Bologna e Lugano.
Non ci sono state le percosse, non cerano i bastoni, non cera niente di niente: Giovanna, e con lei le sorelle e i genitori, si è comportata come una madre normale. Altro che abusi o violenze. «La commissione ritiene che il quadro, pur non presentando una situazione di normalità, non sia tale da poter concludere a una patologia psichiatrica tale da dover ritenere uninadeguatezza della signora ad occuparsi del figlio». Certo, la mamma sta male ma non ci vuole molto per capire il perché di quella condizione: «Ciò è in gran parte da imputare alle sofferenze patite per la violenta separazione dal figlio». Tutte le madri del mondo, viene da dire, starebbero come lei o peggio di lei. E il padre, ammonisce la Commissione, «si preoccupava maggiormente di dimostrare con tutti i mezzi linadeguatezza della madre, piuttosto che beneficiare del poco tempo da passare con il figlio messogli a disposizione».
Il piccolo dovrebbe tornare in Svizzera, ma il finale non è scontato. La parola passa al tribunale per i minori di Bologna. Che cosa succederà? I giudici ratificheranno come un notaio la sentenza di Lugano? In passato italiani e svizzeri hanno duellato anche sulla competenza del caso.
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