Cronaca locale

No all’inchiesta sulla Corso: sarà la giunta a processarla

Il «governo» della Provincia indagherà sull’assessore alla Protezione civile accusato di malagestione da un dirigente

Gianandrea Zagato

Ai quarantacinque consiglieri provinciali viene sfilato il caso-Corso. Indagare sull’operato dell’assessore alla Protezione civile non è affare loro. Chi può metterci il naso è solo la giunta di Palazzo Isimardi che, oggi, garantisce di rivoltare come un calzino quell’assessore accusato di mala gestione dal suo più alto dirigente, Francesco Italiano.
Accuse messe nero su bianco in nove paginette che gettano ombre sgradevoli sull’amministrazione provinciale: gestione che, tra l’altro, costringerebbe le associazioni di volontariato a battere cassa perché dal secondo piano di viale Piceno, sede dell’assessorato, non è mai stato dato l’ok alla delibera che - solitamente a marzo - stanzia i contributi provinciali. Atto dimenticato che fa bella mostra di sé in un faldone alto una spanna, dove ci sono pure «troppe fatture post-factum, prevalentemente di ristoranti» e, perfino, il rimborso di 54 euro e 85 centesimi per «una spesa in un negozio di alimentari in via Bronzetti».
Notula fotocopiata che Alleanza nazionale «dona» come ricordo «a tutti i consiglieri provinciali»: «Insalata, rucola, zucchini, yogurt e ricotta ma anche salsa di soia, prezzemolo in foglie, rosmarino in foglie e pepe nero: giusto l’occorrente per un’insalatona da consumarsi in assessorato e senza sporcare quell’angolo cottura che l’assessore Corso si è fatta costruire e che, come se l’assessorato fosse casa sua, ha pure attrezzato con un capiente frigorifero con congelatore» ironizza Giovanni De Nicola. Fotocopia impietosa di una gestione del governo provinciale che non fa sorridere la maggioranza: allineata e coperta contro la commissione d’inchiesta reclamata da Forza Italia e Allenza nazionale e contro la possibilità di un dibattito sul caso, «escluso Forza Italia e An, alla riunione capigruppo tutti si è concordato di discuterne il 14 giugno» osserva Vincenzo Ortolina. E inutilmente la Casa delle libertà, con l’esclusione della Lega, tenta di convincere la maggioranza della necessità, «ora e per sempre», di fare trasparenza, «di abbattere quei vetri opachi che avete eretto nella difesa dell’indifendibile» chiosa l’azzurro Max Bruschi. Novanta minuti buttati via, dibattito che quasi sfiora la rissa e che, perfino, vede il capogruppo diesse Giuseppe Maria Foglia abbandonare l’aula.
Di tutto e di più, mentre sui tavoli dell’opposizione plana una seconda lettera firmata dall’ingegner Francesco Italiano, direttore centrale del progetto di Protezione civile: due paginette per ricordare a Penati, «responsabile dell’organizzazione generale dei soccorsi», che «nell’eventualità di eventi calamitosi che comportino urgenti acquisti, la Protezione civile per farvi fronte, non potendo più questa direzione far ricorso agli acquisti in deroga, dovrà richiedere al Provveditorato quanto necessario per gestire l’emergenza, ed attendere i tempi di gara - comprensivi di sabati e domeniche - per la scelta delle imprese fornitrici». Avvertenza che, brutalmente, Bruno Dapei di Forza Italia sintetizza così: «Se accade stasera un evento sismico, be’ bisogna attendere l’espletamento della gara per acquistare il materiale per i soccorsi».
Ci sarebbe da ridere se non ci fosse da piangere. Ma la maggioranza è inamovibile: il caso-Corso è affare di giunta e, poi, stasera in consiglio si parla di «città metropolitana». Ventisei sì mettono fine al dibattito. E mentre la maggioranza si squaglia, alla faccia dell’importanza del dibattito sulla «città metropolitana», Penati fa sapere che «richiedere una commissione è operazione meschina» perché «per bassi interessi politici» getta «ombre su un’operazione trasparente». Iniziativa che si traduce in venti case in un villaggio dello Sri Lanka. Ma i dubbi sul caso-Corso restano in piedi. E, poi, tra quattordici giorni, magari, c’è un altro assessore.

Speranza non solo dell’opposizione ma pure del capogruppo dei Comunisti italiani, Luca Guerra, che reclama «legalità nel nome dell’Istituzione».

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