Rosamaria Bitetti
In questi tempi, in cui tutti parlano di crisi finanziaria e recessione, Il ritorno dell’economia della depressione e la crisi del 2008 (Garzanti, pagg. 220, euro 16,60), l’ultima fatica di Paul Krugman, sembrerebbe una di quelle letture imprescindibili. Krugman è l’ultimo Premio Nobel per l’Economia, anche se negli ultimi dieci anni ha dismesso il noioso gergo dell’economista per vestire i panni dell’opinionista politico, apertamente filo-democratico, per il New York Times.
Il libro è in realtà la riedizione di un lavoro del 2001, in cui vengono analizzate le crisi finanziarie che si sono susseguite negli anni Novanta per affermare che il mondo si trascina di crisi in crisi, tutte provocate da un’insufficiente domanda. La crisi del 2008 è per Krugman una di queste. Il monito è che gli Stati Uniti si avviano a vivere un decennio di stagflazione come il Giappone, e dovrebbero quindi adottare le stesse politiche anti-crisi. Questa tesi è però supportata essenzialmente dalle stesse statistiche della prima versione del libro: precedenti, cioè, al 1999. Un aggiornamento dei dati avrebbe reso palese che le politiche adottate in Giappone non sono state in grado di aumentare l’occupazione né di far uscire il Paese dalle difficoltà.
Ma, si sa, in tempi di recessione, non è importante produrre qualcosa di utile (come a esempio una ben argomentata ricerca) quanto creare lavoro e stimolare la domanda (di un libro raffazzonato).
La teoria economica che Krugman elabora a sostegno delle politiche di forte spesa pubblica è che le crisi ci portino in un Paese delle Meraviglie in cui le normali regole dell’economia (e del buon senso) non si applicano più: un mondo in cui risparmiare fa male all’economia, e in cui la soluzione a tutti mali è che lo Stato dreni una quantità esorbitante di risorse dai contribuenti per investirle in qualsiasi cosa che si muova. «Normalmente - afferma Krugman - vogliamo fare attenzione che i fondi pubblici vengano spesi saggiamente: ora il punto cruciale è che vengano spesi velocemente».
Non a caso, il pacchetto anti-crisi di Obama si accompagna con la raccomandazione agli stati ed alle amministrazioni locali di spendere i fondi al più presto, pena la perdita degli stessi. A qualsiasi persona ragionevole l’idea che si possano risolvere l’indebitamento, gli investimenti sbagliati ed i folli consumi americani favorendo ulteriori investimenti, ulteriori consumi ed aumentando il debito sembra più assurda che tentare di curare una sbornia con due bicchieri di whiskey, peraltro ingurgitati il più velocemente possibile.
Purtroppo, l’unica cosa da fare è aspettare che la sbornia passi: che ciò che deve fallire fallisca, ed il mercato possa ristrutturarsi su più solide basi.Ma questa è una ricetta che priverebbe gli economisti partigiani come Krugman della possibilità di suggerire interventi miracolosi ai propri politici preferiti.
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