«Non ci sono prove contro Esposito»

Una settimana di carcere per Paolo Esposito, il presunto assassino di Tatiana Ceoban e della figlia Elena, 36 e 13 anni, 40 giorni di misteri sulla scomparsa delle due donne dal paesino alle porte di Bolsena. Mentre gli inquirenti non hanno ancora stabilito a chi appartiene il sangue trovato dal Ris nella villetta di Cannicelle, spuntano vecchi testimoni che giurano di aver visto la badante ancora in vita a 2 due giorni dalla presunta mattanza.
Prima una donna straniera che si dice sicura di aver ricevuto una telefonata da Tania, conclusa in malo modo e in cui la donna diceva di partire per un luogo lontano. Poi una parrucchiera, Gianfranca F., messa a verbale dai carabinieri i primi di giugno: «Ho visto Tatiana su un’auto, seduta accanto al guidatore. La conosco bene, aveva i capelli legati a coda di cavallo dietro la nuca». Niente marca, modello e targa. Tanto che gli inquirenti non la ritengono attendibile. Come per la tedesca della presunta telefonata, considerata priva di fondamento. Testimonianza, quella della parrucchiera, poi ritrattata. «Questa storia rischia di trasformarsi in un romanzo d’appendice - commenta l’avvocato Enrico Valentini, uno dei due legali di Esposito - le segnalazioni, purtroppo, non sono fondate per varie ragioni e, contrariamente a quanto si legge su una nota d’agenzia, non ne terremo conto in fase di richiesta di scarcerazione al Tribunale del Riesame. C’è una persona accusata di duplice omicidio volontario sulla base di due o tre macchioline di sangue. E ancora non se ne conosce l’appartenenza. Manca l’arma del delitto e, soprattutto, mancano i corpi. I cadaveri dove sono? Si rischia di avviare un processo indiziario per un grave delitto solo sulla base di un alibi in parte lacunoso. Stiamo lavorando proprio per ricostruire le ore precedenti e seguenti la scomparsa».
Ieri Esposito ha avuto un lungo colloquio all’interno del carcere Mammagialla con l’altro suo legale, Mario Rosati. L’elettricista, che continua a proclamarsi innocente, è apparso tranquillo. Assieme a Rosati ha cercato di ricordare i suoi spostamenti in quel maledetto sabato del 30 maggio, soprattutto fra le ore 18.30 e le 20.30, da quando Tania ed Elena ha fatto rientro a casa a quando lui ha cenato assieme alla piccola Erika dai suoi genitori. L’uomo sostiene, inoltre, di non avere più messo piede nella casa che divideva con la sua convivente dal giorno della sparizione. Ma allora chi ha riordinato con cura la scena del (presunto) delitto? Chi ha portato via la tenda il cui pomello è stato pulito con la candeggina? Sulla richiesta di scarcerazione prosegue l’avvocato Valentini: «Punteremo sulla non pericolosità dell’indagato e sul fatto che avrebbe potuto fuggire da settimane e non l’ha fatto. Oltre che sul suo alibi e sulle tracce ematiche rilevate con il Luminol, sostanza che non è affatto sicura al 100 per cento».

Dubbi sulla provenienza del sangue, del resto, sono concreti tanto che martedì è stato effettuato un tampone di saliva a Elena Nekitor, 64 anni, madre di Tatiana e nonna della 13enne. Accertamento disposto dal pm Renzo Petroselli per stabilire se le macchie appartengono a Tania.
yuri9206@libero.it

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