«Non clonate il nostro Louvre ad Abu Dhabi»

Gli arabi offrono 500 milioni di euro per avere una serie di opere e usare il marchio del museo

da Parigi
«Giù le mani dai musei francesi!», è il grido d’allarme lanciato da un gruppo di 70 direttori di musei e centri culturali transalpini, a cui si sono associati artisti, intellettuali, storici e in particolare storici dell’arte. In tutto erano ieri sera 972 i firmatari della petizione lanciata da un gruppo di intellettuali attraverso una lettera al quotidiano Le Monde e ripresa dal sito internet latribunedelart.com.
La tesi degli illustri contestatori è molto semplice: il governo francese - e in particolare il ministero della Cultura - starebbero organizzando faraoniche iniziative all’estero allo scopo di foraggiare d’opere i Paesi che non hanno alle proprie spalle in questo campo una tradizione vecchia di parecchi secoli. Soprattutto un’iniziativa sta destando scandalo in Francia: quella di realizzare ad Abu Dhabi, negli Emirati Arabi Uniti, una sorta di Louvre mediorientale, nutrito con opere appartenenti al più grande e celebre museo parigino. I prestiti, le expertise per la formazione del personale e tutto quanto occorre per lanciare un nuovo strumento culturale a livello internazionale saranno ben pagati: 500 milioni di euro. Compreso il diritto di usare il prestigioso marchio Louvre Abu Dhabi.
I firmatari dell’appello dicono che il governo «prende i musei francesi, in particolare quello del Louvre, come serbatoio di opere d’arte da utilizzare per ragioni politiche, diplomatiche o finanziarie». Un po’ come facevano sei secoli fa i governanti egiziani, che spedivano gli obelischi vecchi di millenni nelle capitali occidentali, dove venivano installati in pompa magna, come nel caso di quello che campeggia attualmente a Place de la Concorde, al centro di Parigi. In altri casi gli eserciti francesi - come quelli al seguito di Napoleone Bonaparte, in particolare in Italia - s’incaricavano di rastrellare opere d’arte con metodi di varia natura. È anche così che il Louvre s’è riempito di grandi «pezzi», dei quali soltanto una parte ha spazio per essere esposta al pubblico.
Adesso il governo francese ha incoraggiato i progetti di cooperazione internazionale, destinati a concretizzarsi attraverso prestiti di durata più o meno lunga a musei stranieri. Tre iniziative del genere stanno alimentando le polemiche: quelle che porteranno opere di proprietà dello Stato francese ad Atlanta (Stati Uniti), a Shanghai (Cina) e appunto negli Emirati Arabi Uniti. Il 13 dicembre scorso il quotidiano Le Monde ha pubblicato la protesta del primo gruppo di intellettuali nei confronti di questo tipo di operazioni cultural-diplomatiche all’estero e poi Internet ha dato voce al malcontento di molti operatori del settore. Decine di dipendenti del ministero della Cultura hanno firmato il documento, che condanna il comportamento del loro stesso dicastero. I direttori e i conservatori di musei grandi e piccoli della Francia intera hanno fatto eco alle contestazioni dei primi firmatari dell’appello e così rischiano d’arenarsi alcuni programmi di respiro internazionale, destinati tra l’altro a rimpinguare le casse della macchina culturale francese.


In effetti i Paesi produttori di petrolio sono pronti a pagare cifre da capogiro per esporre le opere d’arte nate da secoli di storia della vecchia Europa. Ne vale la pena? Il governo francese dice di sì, ma i suoi contestatori sono pronti a scatenare la guerriglia culturale.

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