«Non permettiamo che la sinistra si accaparri De André»

Caro direttore,
si avvicina l'anniversario, il decimo, della morte dell'amato Fabrizio De André, Faber per noi che l'abbiamo amato davvero. Dieci anni sono molti e meritano programmi in tivù che per nessun motivo perderei, pur sapendo che genereranno in me indignazione prima che sentimenti d'affetto o nostalgia.
Avevo cinque anni ed ero convinta che Faber fosse un parente che non avevo mai incontrato. Nei tratti spigolosi del viso, trovavo una somiglianza indiscutibile e sorprendente con mio padre il quale, uomo di destra, possedeva tutti i suoi trentatré giri. S'andava al mare a Cesenatico e si cantavano «La guerra di Piero» e «Preghiera in gennaio», «Il gorilla» e «Per i tuoi larghi occhi». E, adolescente, riempivo il diario di frasi come «ama e ridi se amor risponde, piangi forte se non ti sente, dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior».
Bene, Faber mi ha accompagnata per tutta la vita e seguita a farlo. Ha raccontato gli amori che ho vissuto, descritto le mie delusioni, ha scherzato con me, rallegrandomi, ha parlato della mia solitudine, mi ha tenuta attaccata alla Fede quando la mia Fede vacillava. È stato un amico, mi ha confortata, supportata, accarezzata. Come ogni poeta sa fare, raccogliendo in versi emozioni proprie che tuttavia sono comuni a molti, mi ha ogni giorno meravigliata, cristallizzando tratti di vita mia fra le sue parole.
Ora sento, di nuovo, parlare di lui come di un comunista. Addirittura una frase «era più a sinistra del partito comunista». Mi viene da sorridere perché gira e rigira più a sinistra della sinistra si ritorna a destra, io credo... Insomma De André, come tutti sappiamo era un anarchico autentico ma come d'abitudine la sinistra cerca di accaparrarselo ora che è morto, ora che l'ha scoperto, ora che forse in qualche modo può tornare utile. Mi rassicurano due cose, personalmente. Non ho fama, perché niente di quello che scrivo è stato pubblicato, e fortunatamente non sono morta, non prematuramente. Comunque mi sono iscritta a Forza Italia nel 1994, e sono cattolica. Scripta manent.
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«Ninetta morire di maggio ci vuole tanto, troppo coraggio. Ninetta bella dritto all’inferno avrei preferito andarci d’inverno». Cantavo anch’io «La guerra di Piero». E la «Canzone di Marinella», e «Andrea», e «Volta la Carta», e quell’affresco meraviglioso che è «Il Pescatore», e gli altri capolavori. In particolare amavo la «Città vecchia», con quei quattro pensionati mezzo avvelenati al tavolino e quell’aria spessa carica di sale e gonfia di odori. E poi in coro ancora «La guerra di Piero»: «Ninetta bella morire di maggio...». De André è morto d’inverno, ma ci vuole coraggio lo stesso, come a maggio. Soprattutto, ci vuole un bel coraggio a farne un santino di questa sinistra salottiera e bancaria, lui che è sempre stato dalla parte del popolo, quello vero, quello che non ha né arte né parte, e tanto meno partito. Che ci vuole fare, cara Brambilla? Ricordiamolo, guardiamolo in Tv, continuiamo a cantare le sue canzoni. E rassegniamoci. Il grande Faber, in fondo, aveva già visto tutto, aveva già capito tutto. Se lo immagina? Ci guarderà di sguincio, da lassù, mentre, una gamba qua, una gamba là, cercherà la felicità dentro un bicchiere per dimenticare di essere stato preso per il sedere.

E porterà sul viso l’ombra di un sorriso fra le braccia della morte.

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