Non sapete quanto mi mancherà questo dialogo

Cari lettori,
vi saluto per l'ultima volta. Non voglio tediarvi più di tanto: per i bilanci e per i saluti c'è già l'editoriale di prima pagina e mi hanno insegnato che non è bene prolungare troppo la fase degli addii, se non altro perché c'è il rischio di commuoversi. Però mi sembrava giusto che anche questo spazio avesse la sua doverosa cerimonia di commiato, perché questo spazio è stato molto importante per me. Spero che lo sia stato un po' anche per voi.
È stata la prima cosa che ho pensato, appena mi hanno comunicato che sarei diventato direttore del «Giornale», due anni fa: ho subito creduto fosse importante aprire un dialogo continuo e costante con voi, che si andasse ad aggiungere a quello che il grande Paolo Granzotto intrattiene da anni. È vero che trovare tempo nella giornata di un direttore non è sempre semplicissimo, ma ho sempre ritenuto (e continuo a ritenere) che ascoltare i lettori, cercare di rispondere alle loro domande, farsi mettere in crisi dalle loro critiche sia il compito principale di chi guida un giornale. Soprattutto di chi guida il «Giornale».
Dunque meglio rispondere a una lettera in più (pubblicamente e anche privatamente) e fare una telefonata ai palazzi romani in meno. I peones del Parlamento se la sono un po' presa, voi lettori mi pare abbiate gradito (almeno a giudicare dal numero di quelli che ho incontrato in giro per l'Italia e che mi hanno confessato: «Dopo la prima pagina, andiamo subito a leggere le ultime...»). Meglio di così, dunque, non poteva andare.
Sapete quante volte ho provato a spiegare l'importanza di queste pagine ai suddetti peones? Non mi hanno mai creduto. Vi confesso un piccolo segreto: quando deputati, senatori e sottosegretari mandavano una lettera o un intervento univano preghiere e scongiuri «per favore non mi pubblicare nella pagina delle lettere». E perché mai, caro onorevole? Che cos'ha questa pagina che non le piace? Perché ci scrivono i lettori? E lei si sente così «diverso» dai lettori? Forse il suo problema, caro onorevole, è proprio quello. E allora potrà scrivere tutte le lettere del mondo, ma non riuscirà mai a farsi capire...
Io no, non mi sono mai sentito diverso dai lettori. Anzi. Sono stato, sono e resterò un lettore del «Giornale», con tutto ciò che ciò comporta. E sono orgoglioso di essere stato un «lettore-direttore»: per me questa pagina è sempre stata la più importante dopo la prima e ad essa ho dedicato tutta l'attenzione possibile, come Paolo Granzotto, che in questo è maestro, da sempre ci insegna. Con alcuni di voi siamo diventati anche amici di mail (Bruno, Renata, Flavia, etc.), con alcuni ci siamo incontrati (l'amico albergatore di Moena), con alcuni abbiamo condiviso passioni e momenti no (Fortunato e gli altri tifosi del Toro). A tutti devo un grazie straordinario: siete impagabili nella vostra severità (non ne lasciate passare una...) ma anche nel vostro affetto. E non potrò mai dimenticare l'accoglienza che, con il nostro straordinario Massimiliano Lussana, mi avete regalato a Genova nel giugno scorso, dopo che a Milano era stata impedita la presentazione del mio libro. Mi tremava la voce per la commozione.
Prima di lasciarvi, infine, permettetemi di fare alcuni ringraziamenti: al gran pascià Maurizio Acerbi, che mi ha dato una mano nel gestire il flusso sempre crescente di lettere e che ha sempre saputo trovare nel mazzo le più intriganti e le più stimolanti; a tutti i colleghi che hanno condiviso con me le gioie (e le fatiche) di questo colloquio quotidiano; e soprattutto a tutti voi che con i vostri scritti avete dato vita a queste pagine. Adesso mi fermo e chiudo la porta per l'ultima volta prima che mi vengano le lacrime agli occhi.

Dio solo sa quanto mi mancherete.

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