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Non sono solo il pilota e le gomme A spingere le rosse c’è una squadra

Sette Gran premi per sperare. Ma non ditelo alla Ferrari, al presidente tifoso Montezemolo, al piccolo Napoleone di Maranello, monsieur Jean Todt, sempre meno piccolo e sempre più Napoleone. Non ditelo, non fatelo neppure intuire. Il rischio grande è di farli tutti incacchiare. Perché a Maranello, come nel box della Rossa di Magny Cours e di ogni dove in questo lungo mondiale, nessuno spera, ma tutti fortissimamente credono, sono convinti di farcela, tutti si dannano per recuperare e, possibilmente, superare la Renault in fuga. Altro che sogni e bei pensieri.
Per questo, a fine corsa, Luca di Montezemolo dice «è stata un'altra vittoria netta, a dimostrazione che la Ferrari lotterà fino all'ultimo e che, se non avessimo avuto due battute d'arresto all'inizio della stagione, le cose sarebbero diverse». Per questo Todt ribadisce: «Abbiamo recuperato di più nel mondiale costruttori rispetto a quello piloti, ma a noi non basterà vincerne uno, noi li vogliamo tutti e due».
In questo collage di frasi, di stati d’animo, anche di certezze, sta racchiusa la convinzione della nostra nazionale dei motori: quella di lottare fino all’ultimo – come sottolinea il capo francese -, quella di «non mollare mai, fino all’ultima curva» come rivela il direttore sportivo Stefano Domenicali. Perché a Indy come in Francia ha vinto una gran macchina con delle grandi gomme, ma il collante, anche nel bel mezzo di un mondiale che pareva perso, è stata la squadra, questa commistione di caratteri, età e Paesi diversi che tengono lontano il mondo e così facendo lo conquistano. Impossibile penetrare nelle segrete stanze maranelliane, impossibile anche solo avvicinarsi. L’unione del gruppo è tale da respingere tutti e trasformare il team in una fortezza con il ponte levatoio perennemente alzato. Ma questa è anche la sua forza.
Non a caso lo sconfitto, Alonso, dice che «lui corre da solo, che la Ferrari vince di strategia, di gruppo», e nel dirlo c’è invidia, c’è paura. Perché lo spagnolo è in fuga da mesi e si sente preda solitaria, una preda che dietro non ha solo un cannibale tedesco ma un talento brasiliano sposato alla causa, un capo francese per cui i piloti sono figli e un presidente tifoso che, se solo potesse, spingerebbe la macchina a braccia.

Non è un bel vivere per Fernando.

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